Una Lucia nordica, tempestosa e romantica

A Pisa un’interessante interpretazione del capolavoro di Donizetti

Lucia di Lammermoor (Foto Imaginarium Creative Studio)
Lucia di Lammermoor (Foto Imaginarium Creative Studio)
Recensione
classica
Pisa, Teatro Verdi
Lucia di Lammermoor
18 Gennaio 2019 - 20 Gennaio 2019

Fino agli anni Cinquanta la Lucia di Lammermoor veniva rappresentata a Pisa circa ogni cinque anni e anche più spesso, poi ogni dieci, ora ogni venti: è la conseguenza della diminuzione generale degli spettacoli d’opera ma è soprattutto il segno che è diventata un’opera sempre più difficile da rappresentare, perché scarseggiano i cantanti in grado di eseguire adeguatamente ruoli impervi come Lucia ed Edgardo. Quest’allestimento dimostra che Lucia si può fare – e bene – anche senza grandi voci. È uno spettacolo intelligente: poiché in questi tempi tale aggettivo è diventato sospetto, preciso che non significa intellettualistico e tanto meno “se non capisci, peggio per te”. È intelligente perché ha un’idea globale alle sue spalle e sa realizzarla, senza scommettere tutto sui singoli cantanti, tanto che, ammalatasi la protagonista dopo la prova generale, non ha patito troppo la sostituzione. 

Se c’era un protagonista intorno a cui ruotava questa Lucia, era Michael Güttler. Non è un direttore alle prime armi ma neanche un vecchio routinier, sale regolarmente sul podio della Staatsoper di Vienna e del Marinskij di San Pietroburgo, dirige soprattutto Wagner e in generale il repertorio tedesco, ma anche quello russo, e solo talvolta quello italiano. Non ha pensato per un momento che il suo compito si limitasse ad accompagnare più o meno bene i cantanti e ha dato all’orchestra un ruolo molto più incisivo, facendo sentire che Donizetti non era affatto approssimativo nelle sue orchestrazioni – e questo lo si sapeva, altro che Dozzinetti! – e soprattutto portando in primo piano un piglio dell’orchestra che non sospettavamo. Il prevalere dei timbri scuri - in particolare i corni erano in grande rilievo - e i momenti furenti accentuati da Güttler con stacchi di tempo veloci hanno reso molto più energico e drammatico Donizetti, generalmente considerato soprattutto lirico, delicato, perfino languido. Così in questa Lucia non solo si è ascoltato il romanticismo “moderato” all’italiana delle estasi e delle pazzie d’amore, ma si sono anche percepite chiaramente un’atmosfera cupa e violenta e un sentore di forze oscure, irrazionali e minacciose che sovrastano gli umani, cose da romanticismo “estremista” nordico. (Sarà un’allucinazione dovuta all’aver ascoltato il giorno prima L’olandese volante a Firenze, ma mi è sembrato di scoprire remote e tuttavia reali affinità tra queste opere quasi contemporanee). Güttler sapeva di avere a disposizione l’ottima Orchestra della Toscana e che quindi quest’accentuazione dei timbri, delle dinamiche e dei tempi sarebbe stata gestita con la misura e esattezza dovute. Bena anche il Coro Ars Lyrica.

La croata Marigona Qerkezi era arrivata a Pisa il giorno precedente la prima, quindi è comprensibile che nei primi minuti fosse un po’ tesa, ma la sua Lucia è andata crescendo. Seppure leggermente metallico, il registro acuto non le manca (ha esordito come Regina della Notte) e quindi risolve senza patemi la scena della follia, dove è stata ripristinata l’armonica a bicchieri col suo suono arcano e immateriale: un segno dell’attenzione alle reali intenzioni del compositore, così come la riapertura di alcuni tagli e l’abolizione di alcuni vezzi tradizionali. Ma è soprattutto nei momenti di maggiore drammaticità che la Qerkezi è veramente piaciuta, raggiungendo grande intensità ma senza sottolineature eccessive, grazie a un registro medio pieno e timbrato. Alessandro Luciano è un tenore di buona scuola italiana, ma anche un interprete un po’ generico, come tanti tenori italiani, però ha gusto e non va mai fuori stile: un buon Edgardo. Alessandro Luongo è stato probabilmente scelto in virtù dei suoi trascorsi mozartiani e rossiniani: ottima scelta, perché il suo Enrico è un personaggio negativo, un vilain- così si dice - ma non un villano da opera verista. Molto bene anche il Raimondo del giovane e promettente Andrea Comelli, l’Arturo di Carlos Natale e l’Alisa di Valeria Tornatore.

Il regista Stefano Vizioli (scene realizzate su bozzetti di Allen Moyer) era complice del direttore nel mettere in evidenza la violenza e la cupezza della vicenda, con una recitazione essenziale che eliminava il superfluo e metteva in evidenza i nodi drammatici, in un’atmosfera nera (tranne la neve dei gelidi esterni invernali scozzesi) attraversata da tagli di luci caravaggeschi (di Michele Della Mea). Ottimo spettacolo e ottimo successo.

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

classica

Jonas  di Carissimi e Vanitas  di cinque compositori contemporanei hanno chiuso le celebrazioni per i trecentocinquanta anni dalla morte del grande maestro del Seicento

classica

Napoli: Dvorak apre il San Carlo

classica

Il primo pianista francese a vincere il Čajkovskij di Mosca conquista il pubblico milanese con un interessante quanto insolito programma.