Una cella per Médée
L'opera di Cherubini all'Opéra Comique
![Médée (Foto Brion) Médée (Foto Brion)](/sites/default/files/styles/review_detail/public/review/main_image/4%20Me%CC%81de%CC%81e%20%20DR%20S.Brion_.jpeg?itok=YNth7AIA)
Nuova produzione molto attesa della Médée di Cherubini, che attualizza il mito raccontando un divorzio difficile d’oggi, ma riuscita a metà. Nella prima parte, di circa due ore, che riunisce primo e secondo atto, infatti il teatrale sovrasta la musica e il risultato è frammentato, con anche un’attrice seduta su una sedia che recita versi, un po’ noioso. Pure la direzione musicale all’inizio sembra non avere la chiave di lettura giusta per essere incisiva e rendere in modo coerente la complessità della partitura, del 1797, d’impianto severo neoclassico ma con esplosioni d’espressività emozionali già preromantiche. Sul podio c’è la francese Laurence Equilbey, alla guida dell’orchestra Insula e del coro accentus da lei fondati. Il gesto è preciso, la lettura si percepisce accurata, ma inizialmente l’esecuzione delle parti musicali risulta fredda, l’orchestra non riesce a guidare il dramma, il raffinato equilibrio creato da Cherubini tra le diverse parti della sua opéra comique appare perduto.
La regia è stata affidata a Marie-Ève Signeyrole che si è fatta apprezzare in passato per le sue realizzazioni video che in questa produzione pure sono protagoniste, con abbondanza di riprese di particolari, sottolineando la lettura psicologica già presente nel libretto di François-Benoît Hoffman, con primi piani degli occhi dei protagonisti e, soprattutto, tante riprese dei bambini, dei loro giocattoli, della loro ultima, forse, prima colazione. La Signeyrole infatti mette i figli al centro della storia, che si apre e si chiude con i video di due piccole altalene vuote. Pure l’infanticidio è mostrato dalla parte dei bimbi, con la macchina da presa sotto l’acqua della vasca da bagno puntata verso il viso della madre che li sta annegando. Le scene sono crude, anche letteralmente violente, con sonori schiaffi di Giasone sia al figlio che alla moglie ripudiata. E la violenza è messa in scena in modo realistico pure nei confronti degli altri esiliati, i migranti d’oggi, che sono affiancati a Medea in un campo di rifugiati. Il soprannaturale che emerge nei versi del libretto non si ritrova nella nuova drammaturgia che racconta piuttosto di un divorzio da un uomo violento ed arrivista, con i figli in mezzo vittime innocenti. Divorzio reso ancora più complicato quando si fronteggiano, come in questo caso, diverse culture, e così Giasone è in abiti occidentali moderni mentre Medea si presenta in tradizionali fogge mediorientali, per poi passare al tutto nero. I semplici ma bei costumi sono della famosa costumista tedesca Yashi. Ma la magnifica musica di Cherubini diventa finalmente centrale e conduce il dramma nell’ultimo atto, molto più fluido sin dall’apertura, ma sopratutto esaltante dopo i famosissimi recitativo e aria “Eh quoi! Je suis Médée et je les laisse vivre!”.
Grazie alla musica trascinante, tutto è più facile nell’ultima parte sia per la regia che per il direttore d’orchestra, che infine efficacemente riescono a centrare il dramma ed esprimere tutta la disperazione e collera della donna che arriva ad uccidere i suoi stessi figli. Medea è interpretata dal soprano d’origine libanese Joyce El-Khoury, perfetta per la parte, voce drammatica e potente, interpretazione appassionata. Il ruolo di Giasone è affidato al tenore Jason Behr che è sembrato uno dei diversi cantanti non in perfetta forma per malanni di stagione, come annunciato all’inizio dello spettacolo senza specificare i nomi. Comunque tutti gli artisti sono apparsi ben scelti per i diversi personaggi, citiamo solo anche il basso franco irlandese Edwin Crossley-Mercer come Créon, il re di Corinto; sua figlia, la principessa Dircé che morrà per la corona di fiori con veleno che Medea le offre, è il giovane soprano di coloratura Lila Dufy; la parte di Néris, qui una moderna amica più che la schiava di Medea, affidata al mezzo Marie-Andrée Bouchard-Lesieur che si è guadagnata, in particolare, applausi affettuosi e meritatissimi dal pubblico. Pure il coro, sopratutto quando canta in scena, è apprezzabile, meno nei momenti fuori scena. Bravi i due bambini, noi abbiamo visto Inès Emara e Félix Lavoix Donadieu, si alternano con Edna Nancy e Erwan Chevreux, tutti e quattro allievi della Maîtrise Populaire dell’Opéra-Comique che qui conferma l’ottimo, meritorio lavoro che sta portando avanti con i più giovani. Le scenografie di Fabien Teigné sono più piacevoli ed efficaci nel secondo tempo, quando vanno via i grigi pannelli per i video che occupano tutta la parte superiore del visuale, sostituti da leggere, eleganti tende bianche perfette anche nei momenti più drammatici, che si trasformano pure, grazie alle fondamentali luci di Philippe Berthomé, in un finale nero come in una remota cella carceraria, quella in cui si sentirà per sempre Medea dopo l’atto irreparabile.
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