Martha torna a Ferrara per Ravel, in compagnia di Dutoit

Questo splendido concerto della Argerich era la seconda tappa dopo Torino della breve tournée italiana dell’Orchestra Philharmoniique de Monte-Carlo

Martha Argerich e Charles Dutoit (Foto Marco Caselli Nirmal Ferrara Musica)
Martha Argerich e Charles Dutoit (Foto Marco Caselli Nirmal Ferrara Musica)
Recensione
classica
Ferrara, Teatro Comunale “Claudio Abbado”
Martha Argerich e Charles Dutoit
12 Febbraio 2025

La mattina la mostra “Il Cinquecento a Ferrara” al Palazzo dei Diamanti ci fa rivivere gli anni in cui la città degli Este era la capitale di un piccolo stato ma una grande capitale dell’arte italiana e quindi europea. È importante che - fatto raro se non unico – la mostra dia rilievo anche alla musica, perché in quegli anni Ferrara era una capitale anche della musica, con gli Este che avevano al loro servizio i massimi compositori del tempo, come Després, Obrecht e De Rore, e una cappella musicale di almeno venticinque musicisti. La sera il concerto al Teatro Comunale “Claudio Abbado” nell’ambito della stagione di Ferrara Musica, nata su impulso di Abbado, ci ricorda un altro periodo in cui Ferrara è stata una capitale della musica, ovviamente in modo diverso da cinquecento anni prima. Ancora oggi Ferrara Musica offre concerti di alto livello, come quello di cui si riferisce ora, i cui protagonisti erano Martha Argerich, che innumerevoli volte ha suonato con Abbado, e l’Orchestra Filarmonica di Montecarlo diretta da Charles Dutoit. 

La pianista argentina non rievoca solo dei ricordi ma è ancora oggi, a ottantatré anni, una splendida realtà. Evocare la sua età non è assolutamente una precauzione per giustificare un eventuale declino delle sue capacità, perché la sua esecuzione attuale del Concerto in sol di Ravel è stupefacente, non molto diversa da quella incisa con Abbado nel 1967! E le piccole differenze non sono affatto al ribasso. Martha riesce a far sembrare sempre sorprendente il fulmineo attacco dell’Allegramente, con lo sgorgare improvviso del vivace e piccolo primo tema, il cui carattere gaio e danzante è valorizzato dal serrato gioco paritetico del pianoforte con il timbro penetrante e giocoso dell'ottavino. Non è che il folgorante inizio di un percorso pieno di meraviglie, con pianoforte e orchestra che danno vita a un serrato dialogo in cui risplendono i preziosismi e i colori della scrittura strumentale raveliana, alternando momenti esuberanti e graffianti (anche con ritmi jazzistici) ad altri trasparenti e incantati (anche con echi melodici del folclore iberico) fino ad una coda letteralmente mozzafiato, che lascia basiti per l’agilità, la precisione e la velocità della Argerich. 

A lei sola, con solo alcune preziose pennellate dell’orchestra, è affidata la semplice, casta e disadorna melodia dell'Adagio assai: lascia basiti la sua capacità di variare sottilmente peso e colore di ogni nota, dando ad ognuna un valore preciso nel dipanarsi di questo lunghissimo canto, che avvince l’ascoltatore e penetra nell’anima, senza ovviamente nemmeno sfiorare il sentimentalismo, che qui sarebbe totalmente fuori luogo. Nel finale Presto la frenesia motoria e la scrittura percussiva del pianoforte rendono difficile riconoscere lo stesso strumento che poco prima cantava una placida melodia: la vivacità senza freni raggiunge il vertice nella coda, che lascia letteralmente senza fiato. Gli applausi esplodono interminabili e la Argerich, senza dare il minimo segno di stanchezza, regala due dei suoi bis favoriti. Prima la Gavotta dalla Suite inglese n. 3 di Bach: non capita spesso di emozionarsi ascoltando una gavotta. Poi Traumes Wirren dai Phantasiestücke op. 12: ora i “sogni confusi” di Schumann sono meno agitati che nelle incisioni della Argerich di qualche decennio fa (la prima risale al 1965).

Charles Dutoit è stato il marito della Argerich: il matrimonio è durato poco ma la loro collaborazione artistica dura da più di mezzo secolo. In Italia non dirige spesso, quindi è forse il caso di ricordare che è un direttore illustre, già direttore principale di prestigiose orchestra in America (Philadelphia e Montreal) ed Europa (Royal Philharmonic a Londra e National de France a Parigi). Ma non c’è bisogno di questi dati per rendersi conto subito che è un direttore di gran classe, con pochi rivali quando si tratta di Maurice Ravel, cui è interamente dedicato questo concerto, il secondo di una serie di tre appuntamenti consecutivi organizzati da Ferrara Musica per festeggiarne i centocinquant’anni dalla nascita. 

Con gesto preciso, ampio quanto basta ma mai plateale, Dutoit guida e controlla magistralmente l’orchestra, raggiungendo un assoluto equilibrio tra le varie sezioni e dosando perfettamente varietà e unità all’interno di ogni singolo brano. La ricreazione del Settecento francese in chiave raveliana nel Tombeau du Couperin è un incanto e nei Quadri di un’esposizione il “primitivismo” russo di Musorgskij e la raffinatezza dell’orchestra raveliana si fondono, dando ad ogni quadro un carattere e un colore proprio e irripetibile. Queste esecuzioni d’alta classe ma tutt’altro che fredde entusiasmano il teatro e anche Dutoit concede un bis, il terzo della serata: ancora Ravel, con la Pavane pour une infante défunte, meno lenta del solito (Ravel diceva che non era la pavane ad essere defunta ma l’Infanta) e percorsa da una sotterranea eppur pregnante commozione.

Altalenante la prova dell’orchestra monegasca. Come già detto, Dutoit la guida con gesto chiaro e preciso e controlla perfettamente gli equilibri tra le varie sezioni, ma nulla può contro certi incidenti, piccoli ma numerosi, in cui incorrono i vari strumentisti: piuttosto evidenti quelli degli strumenti a fiato, sia i legni che gli ottoni, più nascosti quelli di qualche singolo strumentista nelle file degli archi. Non si sa se attribuire questi piccoli inciampi - che non sono vere imprecisioni ma solo suoni un po’ apsri o note prese “di striscio -, a distrazione o a stanchezza o, come sembra più realistico, ad effettivi limiti tecnici di alcuni musicisti, che si manifestano nei passaggi più esposti e complessi, mentre in altri momenti tutto fila alla perfezione. La qualità delle interpretazioni di Dutoit dà pregio anche a queste esecuzioni non impeccabili.