L’incanto di Psyché e i trucchi di Venere 

Psyché (Foto Szilvia Csibi)
Psyché (Foto Szilvia Csibi)
Recensione
classica
Budapest, Müpa Budapest
Psyché 
12 Febbraio 2025

“Anche agli occhi più innocenti, i fili prendono il posto delle rughe che il trucco non può nascondere … Il timore di diventare nonna fa venire i brividi a Venere! E la regina di Citera si dispera segretamente di avere un figlio così grande!” Venere è dunque una signora matura: un tempo donna bellissima e ora, come tutti, segnata dal tempo che passa anche per lei. È la Venere invisibile ma motore della vicenda, che vede il figlio Eros innamorarsi perdutamente della giovane e avvenente Psyché. Complice un Mercurio particolarmente dispettoso e le due invidiose e petulanti sorelle, Dafné e Bérénice, che sembrano le Clorinda e Tisbe della povera Angelina rossiniana, Psyché guarda il volto dello sconosciuto sposo addormentato, Eros, credendolo forse un mostro. La donna rompe il voto fatto e perde (temporaneamente) l’amante. Ma l’amore è forte e vince tutti gli ostacoli, compreso l’ultimo, messo in campo da Mercurio per ingraziarsi Venere – un magico belletto che fa invecchiare di botto chi lo usa e una bevanda dell’oblio. Saranno invece le due sorelle e i loro cialtroneschi sposi Antinoüs e Gorgias a cadere nella trappola, liberando ogni ostacolo all’amore fra Eros e Psyché celebrato da un coro trionfale di uomini e dei. 

Già annunciata nel giugno del 2020 al Théatre des Champs-Elysées nell’ambito del festival del Palazzetto Bru Zane a Parigi e quindi cancellata per pandemia, Psyché di Ambroise Thomas ha rivisto la luce al Müpa di Budapest in questa stagione, grazie alla collaborazione fra il Centro di Musica Romantica Francese e i complessi della Filarmonica nazionale ungherese, che in passato ha già prodotto altri frutti da Herculaneum di Félicien David, al Werther di Jules Massenet nell’inedita versione per baritono a Le roi d’Ys di Édouard Lalo e già ne promette molti altri nelle prossime stagioni. Questa nuova riscoperta colma non solo un vuoto nella conoscenza (e prossimamente anche nella discografia: l’uscita per la Bru Zane Label è prevista per fine anno) di un compositore di cui oggi si ricordano solo Hamlet e più sporadicamente Mignon, ma riporta in luce un lavoro molto accattivante, in miracoloso equilibrio fra dramma e commedia. Già libretto tratto dalla favola di Apuleio è molto brillante come spesso quelli dalla premiata ditta Barbier&Carré, già autori di molti fortunati lavori per Gounod, Offenbach, Meyerbeer e per le due opere superstiti dello stesso Thomas. Delle due versioni esistenti di Psyché, al Müpa si è ascoltata la prima, andata in scena per la prima volta all’Opéra Comique nel 1857, “comprise et appréciée que par les délicats” secondo il critico de L’Orchestre. Poiché i palati fini erano pochi allora come oggi, si capisce che non fu un trionfo e verosimilmente proprio per quella strana commistione fra generi più che per il soggetto mitologico tornato comunque in auge nel Secondo Impero. Maggiore successo ebbe la seconda versione del 1878, ispirata dal più grande impresario della Salle Favart, Léon Carvalho, in quattro atti rispetto ai tre della prima versione, con dialoghi trasformati in recitativi, ma soprattutto con il marcato ridimensionamento della componente comica, con il taglio di Antinoo e Gorgia e la sostanziale riduzione nei ruoli di Dafné e Bérénice. Insomma, meno opéra comique e più opera opera ma, nemmeno nella sua nuova e più austera veste, l’opera superò l’esame della Storia. 

Nonostante le modifiche radicali, Psyché resta un’opera dominata dalle due voci femminili: quella di Psyché, soprano dalle delicate venature liriche, ma soprattutto quella di Eros, mezzosoprano la cui natura di seduttore si traduce “rossinianamente” in vertiginosi virtuosismi vocali. Due ruoli che nella produzione presentata in forma di concerto a Budapest trovano due perfette protagoniste nella freschezza vocale di Hélène Guilmette e nella ferrea tecnica combinata con un prezioso timbro vellutato di Antoinette Dennefeld, impeccabile nelle acrobazie della grande scena “Ô Nymphes ! en ces lieux j’attends une mortelle … Prenez donc elle” non meno che nel sognante “Non, ne le suivons pas ... Sommeil, ami des Dieux”.  A loro si aggiunge l’accattivamente versatilità di Tassis Christoyannis, che regala al suo Mercure una sorta di crepuscolare saggezza vitalizzata da un’inedita vena comica. Davvero irresistibile il quartetto comico di Mercedes Arcuri e Anna Dowsley, le sorelle Dafné e Bérénice, e Artavazd Sargsyan e Philippe Estèphe, i coniugi Antinoüs e Gorgias, che conquistano nello spassoso siparietto comico del terzo atto. Completa il cast, il re di Christian Helmer, poco più di un cameo nel primo atto. 

György Vashegyi dirige con autentico spirito francese e grande versatilità la partitura di Thomas, generoso nella scrittura vocale come nei numerosi momenti danzanti, imprescindibili nella Francia operistica dell’Ottocento maturo. Ottimo il contributo dell’Orchestra filarmonica nazionale ungherese, e soprattutto dei suoi brillanti fiati coinvolti in frequenti assoli, come del Coro nazionale ungherese, preparato con competenza stilistica da Csaba Somos. 

Serata musicalmente molto felice, festeggiata dal folto pubblico presente al Müpa con calorosissimi applausi dopo ogni scena e alla fine dello spettacolo. 

 

 

 

 

 

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