Un tormentato re di oggi
Due quartetti sulle rive della Loira
Recensione
classica
Cose insospettabili accadono ad Orléans, placida città di provincia, con un Théâtre National che pullula di attività: il 14 aprile è andato in scena "Lear, a King" di François Sarhan (1972), su libretto di Jacques Roubaud: per la prima volta presente in sala, il poeta ha fatto un sapiente lavoro di riduzione, pur mantenendo l´originale in inglese; è intervenuto sull´accentazione, rendendo il precipitare nella follia con l´introduzione di asimmetrie nel verso shakesperiano. Il nuovo titolo sottolinea l´isolamento di Lear, rendendolo al tempo stesso un tiranno come ancora ce ne sono per il mondo.
Lo spazio scenico è utilizzato in modo polivalente: Sarhan, che ha curato regia, video e animazioni, mette i musicisti in scena, li fa muovere, reagire e commentare l´azione con risa e quant´altro. Fanno da ponte tra i due quartetti le bravissime Saunier e Verbinnen, che non fanno danza ma messa in scena del corpo, affiancando musicisti e attori, facendone a volte il doppio (mettendosi letteralmente nei loro panni, prestando loro un´altra testa o altre braccia) o facendoli salire e scendere da sedie e panche. Talvolta circondano il cantante (capita al bravissimo tenore Tore Sunesson, nei ruoli di Kent, Edmund e Goneril en travesti), spintonandolo e mettendogli le mani sulla bocca, con un interessante risultato vocale; le tensioni e le violenze del testo sono agite e mimate efficacemente, senza però mai passare il segno: memorabile il maltrattamento di Lear, in una scena muta in cui Matts Johansson (baritono), disteso a terra, viene sbattuto e trascinato dal suo torturatore, afferrato per la testa che si immagina spinta sott´acqua, attuale riferimento alle violenze delle ultime guerre. L´accecamento di Gloucester viene mimato in modo analogo: impersonato dal violista del quartetto, il bravissimo Franck Chevalier che, in un solo ad alta tensione, viene fatto montare su una sedia e afferrato da Kent che gli cava gli occhi; il corpo si piega e si torce e la narratrice riprende il suo racconto. Ruolo essenziale quello di Saunier (ottima attrice e coreografa), che lega le brevi scene raccontando in francese quello che non ha trovato spazio in un´ora e mezza di spettacolo. Il trattamento della voce è vario, talvolta ludico ma senza forzature.
Tutto è molto essenziale e efficace, nello spirito del libretto, che condensa in modo estremo senza ridurre. Vera opera da camera, i due quartetti e il bravo percussionista Miquel Bernat interagiscono senza direttore.
Emozionante il concerto del Quatuor Diotima, che il 15 ha spaziato dal Schubert adolescente e già tormentato del Quartetto n.2 (reso con sonorità delicatissime) al primo Schönberg atonale dell´op.10: ancora Sarhan, con Bobok (2002), che sembrava scritto per loro, e il nuovo Lucy B, con la voce timbrata di Rayanne Dupuis, ironico ritratto di donna, di cui sono spietatamente spiati i momenti della giornata e della settimana. Bobok contiene già tutto il mondo di Sarhan, dai lati ludici e parodistici a quelli più oscuri, uno stile caratterizzato dalla rapidità del montaggio (non a caso si cimenta nel cinema di animazione, complice William Kentridge).
Bellissimo Schönberg, di cui i Diotima danno un´interpretazione ricca di luci ed ombre, ad alta temperatura emotiva.
Interpreti: Vox Vocal Quartet Quatuor Diotima Percussioni Miquel Bernat Voce recitante/coreografa Johanne Saunier Danzatrici Johanne Saunier, Julie Verbinnen
Regia: François Sarhan
Scene: Jim Clayburgh
Coreografo: Johanne Saunier
Luci: Jim Clayburgh
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