Un Sogno molto "british" a Napoli

A soli due giorni dal "Marito disperato" di Cimarosa il Teatro di San Carlo ha presentato un altro spettacolo di alta qualità: ma quanto diverso il suo ritegno fin troppo "british" dall'esuberanza partenopea del precedente!

Recensione
classica
Teatro di San Carlo Napoli
Benjamin Britten
08 Febbraio 2001
Il termine "british" è considerato "politically incorrect" nella multietnica Gran Bretagna del terzo millennio, ma speriamo che Blair ci perdonerà se lo usiamo in occasione dell'allestimento napoletano di "A Midsummer Night's Dream" di Britten: è un termine a doppio taglio, perché da una parte contiene un evidente apprezzamento, in quanto non è cosa da poco portare in scena Britten a Napoli a un livello degno di Glyndebourne o di Londra, ma dall'altro lato cela un giudizio limitativo, in quanto questo spettacolo esibisce un gusto, una misura e un'educazione ammirevoli, ma è anche troppo "restrained", mentre un pizzico di estro e di sregolatezza sarebbe necessario in questa commedia shakespeariana in cui elfi e fate intersecano il mondo degli umani. Forse siamo stati viziati dagli allestimenti di "A Midsummer Night's Dream" che Robert Carsen e Denis Krief hanno recentemente realizzato in altri teatri italiani: bisogna accettare che non sempre si può pretendere altrettanto, ma da un regista giovane e con esperienza di musical come Paul Curran era lecito attendersi qualcosa di più originale e più intrigante. Probabilmente Curran, vestendo Theseus, Hippolita, Lysander, Hermia e Helena come altoborghesi molto "british" dell'inizio del Novecento, voleva ottenere esattamente quel senso di rigidezza e di conformismo che ha ottenuto: ma come spiegare che la fantasia era assente nel mondo di Oberon e compagni? Molto riuscite, per il loro umorismo perfettamente "british" (ancora!), erano invece le scene che coinvolgevano i rustici commedianti, grazie anche al Bottom di uno straordinario caratterista come Conal Coad, cui faceva da spalla il quasi altrettanto bravo William Peel nei panni di Quince. Nel ruolo di Oberon il controtenore Brian Asawa (alla prima assoluta del 1960 era Alfred Deller, il pioniere dei controtenori, ma l'anno dopo alla Scala si preferì affidare questa parte a un contralto!) non aveva una voce propriamente magica, eppure è stato affascinante nella sua grande aria del primo atto (e non solo lì). Non è ipocrisia accumunare tutti gli altri protagonisti in un elogio generale: erano tutti effettivamente inappuntabili, ma troppo numerosi per elencarli qui. Steuart Bedford, che da giovane è stato assistente di Britten e che ora è considerato un suo interprete di riferimento, dirigeva come chi si preoccupa di ripetere diligentemente le indicazioni del maestro, ottenendo dall'orchestra del San Carlo la pulizia e l'incisività indispensabili in questa difficile partitura che esige preziosità cameristiche.

Note: nuovo all.

Interpreti: Watson, Asawa, Kollaku, Bandera, Carola, Skinner, Coad, Livermore, Nisticò, Robson, Sarple, Parker, Henderson, Peel

Regia: Paul Curran

Scene: Paul Curran e Nicola Rubertelli

Costumi: Giusi Giustino

Orchestra: Orchestra del Teatro di San Carlo

Direttore: Steuart Bedford

Coro: Coro delle British Forces School di Napoli, Parrocchie di San Vitale e Santa Maria Desolata

Maestro Coro: Luigi Petrozziello

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