Un concerto al femminile a Santa Cecilia
Il ritorno all’Accademia della direttrice Gražinytė-Tyla e il debutto della pianista Montero. E la prima esecuzione in Italia della Sinfonia n. 3 di Weinberg
Molti vuoti in sala (mi riferisco alla replica di sabato) per il concerto che vedeva Mirga Gražinytė-Tyla sul podio e Gabriela Montero al pianoforte, ma moltissimi applausi. La direttrice lituana non è ancora molto nota in Italia ma nel resto del mondo si è già imposta come una delle giovani bacchette (ha trentasei anni) emergenti ed è salita sul podio delle maggiori orchestre. Nel suo curriculum spicca la direzione musicale della City of Birmingham Symphony Orchestra, dove è succeduta a Simon Rattle e Andris Nelsons, altri due direttori che si ascoltano di rado in Italia ma che sono ai vertici delle maggiori orchestre e che proprio da Birmingham hanno spiccato il volo.
Al contrario dell’idea che noi italiani abbiamo dei nordici come gente fredda e compassata, la direttrice lituana è una vera forza della natura, ma allo stesso tempo non perde mai il pieno controllo dell’orchestra e presta la dovuta attenzione all’equilibrio tra le varie sezioni strumentali. Col gesto ampio e vigoroso ma anche elegante del braccio destro dimostra sicurezza e determinazione, mentre col sinistro sollecita l’orchestra a tirar fuori un suono il più possibile corposo e presente, molto fisico ma non sempre altrettanto espressivo, comunque travolgente.
Nell’ouverture Leonore n. 3 di Beethoven il fraseggio sempre nettamente profilato conferisce ad ogni frase il massimo della tensione ma il rovescio della medaglia è che una volta raggiunto l’acme non si può andare oltre. Forse bisognerebbe dosare meglio quest’energia e graduare la diversa intensità dei vari temi per raggiungere la progressiva e continua crescita della drammaticità dalla prima all’ultima nota di questa straordinaria pagina sinfonica. Ma è veramente - lo ripeto - travolgente e gli applausi sono entusiastici.
Il programma prevedeva poi la prima esecuzione in Italia del Concerto n. 3 di Magnus Lindberg, scritto per Yuja Wang, che avrebbe dovuto esserne l’interprete. Ma la pianista cinese ha dovuto rinunciare per motivi di salute ed è stata rimpiazzata da Gabriela Montero, che ha eseguito il Concerto n. 1 op. 23 di Čajkovski. La pianista venezuelana e la direttrice lituana hanno fatto molti concerti insieme, dunque si conoscono bene e tra loro è evidente una certa affinità, perché anche la Montero è una forza della natura. La tecnica non le manca, ma non fa esibizioni virtuosistiche fini a sé stesse, sa essere anche lirica e - quand’occorre, e in Čajkovskij occorre – sentimentale. Insomma non è una virtuosa sul tipo dei giovani leoni della tastiera che negli ultimi anni i concorsi pianistici sfornano in serie, anzi si concede un paio di note sbagliate, qualche passaggio non nitidissimo, qualche sfasatura con l’orchestra, giusto per dimostrare che non è una macchina ma un essere umano. Ha personalità e carattere, è estroversa e comunicativa, e si tuffa in Čajkovskij facendosi guidare da queste sue qualità e dando a questo Concerto quel grande afflato espressivo che conquista il pubblico. Una sua particolarità è che i suoi bis consistono sempre in improvvisazioni su temi suggeriti dagli ascoltatori: è stata irresistibile quando al celebre valzer dal Pipistrello di Johann Strauss jr ha dato ritmi di danze sudamericane.
Era un debutto – e non solo all’Accademia di Santa Cecilia ma in Italia - anche per la Sinfonia n. 3 di Mieczyslaw Weinberg, compositore polacco sfuggito avventurosamente ai nazisti, mentre tutta la sua famiglia trovò la morte nei campi di sterminio. Si rifugiò nell’Urss, dove ebbe gravi problemi nel periodo staliniano, finche a partire dai tardi Anni Sessanta ebbe infine anche i meritati riconoscimenti. In occidente da qualche anno la sua musica sta tornando con crescente frequenza nelle sale da concerto e la Gražinytė-Tyla è una delle artefici di questa riscoperta.
Si è ascoltata la terza delle sue ben ventidue sinfonie, composta a trent’anni d’età nel 1949 ma eseguita soltanto nel 1960, dopo un’ampia revisione. Per dare un’idea al lettore, diciamo che la forma è quella classica in quattro movimenti, come in Prokof’ev. È però Šostakóvič l’autore più vicino a Weinberg, che di lui disse: “Mi considero suo allievo, fatto dello stesso sangue e della stessa carne”. Ma la Sinfonia n. 3 non è una copia né dell’uno né dell’altro. L’orchestra è ampia e colorata, ogni movimento è ben delineato e caratterizzato: il primo è sereno, il secondo è giocoso., basato su una deliziosa melodia di carattere popolare, il terzo è meditativo, tragico e angoscioso, il quarto è percorso da ritmi militari, fanfare di ottoni e rulli di tamburi, forse per attenersi alle direttive che giungevano dall’alto negli anni dopo la vittoria sul nazismo, ma con improvvisi passaggi ironici, che sembrano sbeffeggiare quell’ottimismo di facciata e possono effettivamente ricordare Šostakóvič.
Certamente l’ascolto di una sola Sinfonia non è sufficiente a darci un ritratto completo di Weinberg ma basta a capire che siamo davanti a un compositore che può riservarci altre buone sorprese. Gražinytė-Tyla con la sua direzione tesa, energica, colorata ha portato al successo anche questo brano novecentesco, molto applaudito dal pubblico.
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