Tutta la dignità del lavoro in sette minuti
Un successo a Nancy per la nuova “opera sindacale”, 7 minuti, di Giorgio Battistelli, tratta da un fortunato lavoro teatrale di Stefano Massini
Mireille, Sabine, Odette, Rachel, Agnieszka, Mahtab, Zoélie, Arielle, Sophie, Lorraine e Blanche: undici donne, undici operaie del consiglio di fabbrica della Picard&Roche, undici donne di età diverse, qualcuna con un vissuto difficile e tutte con un futuro incerto. L’incertezza sta tutta in sette minuti: quelli ai quali gli “incravattati”, i nuovi padroni, chiedono a quelle donne di sacrificare in nome di maggiori garanzie sulla stabilità del posto di lavoro. Sette minuti sui quindici della pausa sembrano poca cosa a molte di quelle donne chiamate a esprimersi in nome di tutte le operaie della fabbrica e la cosa sembra fatta quando la loro portavoce, Blanche, 61 anni, operaia specializzata, manifesta il suo dubbio lacerante su quella piccola frase di due parole, “sette minuti”: “… quei sette minuti possono non essere molto, ma sono sette minuti per ognuna di noi. E in una settimana sono circa cinquanta. E in un mese tre ore. Per ciascuna, dico, per ciascuna di noi. Siamo duecento nella fabbrica. E questo significa seicento ore di lavoro in più”. Su quel dubbio scagliato nell’arena di sogni e sofferenze di ognuna, si scatena il dibattito (e non solo) fra quelle undici donne. Accettando quel taglio, gli incravattati sanno che potranno chiedere di tagliare altri diritti, altri “lussi”, sostiene Blanche, ma si scontra con Mahtab, la straniera che ha conosciuto la paura, ma anche con quelle ragazze giovani come Mireille, che non vogliono rinunciare al sogno di una vita normale. Sono solo sette minuti, ma nel fondo si parla di dignità, una parola dalla declinazione molteplice e contraddittoria, frantumate ideologie e tramontata definitivamente quella che un tempo si chiamava coscienza di classe. Molteplice e contraddittoria come l’identità di un tessuto sociale fluidificato in istanze individuali, sulle quali vince la legge del più forte.
Ispirandosi a una vicenda reale accaduta nel 2012 alla fabbrica di intimo femminile Lejaby di Yssingeaux nel sudest francese, Stefano Massini ha dato voce alla tragedia del mondo contemporaneo nel suo fortunato testo teatrale 7 minuti portato in scena qualche stagione fa da Ottavia Piccolo, fervente propugnatrice del talento del drammaturgo pratese, e successivamente sul grande schermo da Michele Placido. Testo al quale un compositore dalla spiccata e antica sensibilità al dibattito civile come Giorgio Battistelli ha dato veste operistica nel lavoro andato in scena con grande successo all’Opéra national de Lorraine di Nancy, che conferma il suo felice sodalizio con il compositore italiano dopo Divorzio all’italiana e Il medico dei pazzi. Lasciando sostanzialmente intatto il testo originale di Massini, Battistelli scandisce l’azione della sua “opera sindacale” in tre grandi quadri nei quali la tensione cresce lentamente dal primo, quello dell’attesa estenuante ma carica di impalpabile tensione delle dieci delegate sindacali in attesa di sentire dalla loro portavoce Blanche la proposta della proprietà, al secondo, quando finalmente entra in campo Blanche, e soprattutto al terzo, quando esplodono le tensioni delle verità esistenziali di ognuna e le miserabili bassezze di una spietata lotta senza quartiere. Non è una musica banalmente “militante” o una musica delle certezze (chi può davvero sostenere di averne oggi?), ma un intreccio complesso fatto di un raffinato corpo strumentale liquido, innervato da un ostinato percussivo e occasionali cluster tellurici. Quella che Battistelli sovrappone al testo di Massini è una struttura musicale che ha il pregio di lasciar respirare la parola scenica senza mai sopraffarla, anzi esaltandola in una verticalità contrappuntistica strumentale che dà veste sonora alle tensioni espresse dalle undici voci femminili in scena. Sideralmente lontano dalle sublimi civettuole vacuità delle conversazioni in musica di Richard Strauss o di quelle sentimental-languorose di Puccini, la nuova opera di Battistelli si innesta idealmente in quel filone, riprendendo anche l’antica arte delle forme chiuse, innestate tuttavia in una trama musicale priva di discontinuità, ma ne propone una versione attuale e aperta alla complessità priva di certezze del dibattito contemporaneo. Un punto fermo per una riflessione su un moderno teatro di impegno civile.
Parte della calorosa accoglienza del pubblico di Nancy va certamente ascritta alla straordinaria compagine di undici giovani interpreti, tutte molto affiatate, della scena di Nancy, che sono Francesca Sorteni (Mireille), Erika Beretti(Sabine), Alexandra Zabala (Odette), Eleonora Vacchi (Rachel), Lavinia Bini (Agnieska), Loriana Castellano (Mahtab), Ariana Vendittelli (Zoélie), Sofia Pavone (Arielle), Daniela Cappiello (Sophie), Grazia Doronzio (Lorraine) e soprattutto Milena Storti, una Blanche di grande autorevolezza scenica. Non nuovo all’universo sonoro battistelliano, il direttore Francesco Lanzillotta sa trovare il necessario equilibrio con la scena ma senza sacrificare, anzi esaltandole, le qualità musicali dell’Orchestre symphonique et lyrique di Nancy.
Il regista Michel Didym mette al servizio della produzione scenica soprattutto la rodata esperienza di direzione d’attori nel teatro di parola, fondamentale in questo lavoro sostanzialmente privo di effetti e ambientato nello spazio unico della sala del consiglio di fabbrica, disegnata con tratti di marcato realismo da Jacques Gabel come i costumi “quotidiani” di Pierre Albert. A parte le enigmatiche apparizioni mute di due incravattati dietro le grandi vetrate di fondo, unico “effetto” riuscito quello dei coristi del teatro seduti fra il pubblico della platea, creando, in pochi ma significativi interventi, un arco ideale fra sala e scena.
Più di un vuoto in sala ma il pubblico presente è attento e progressivamente coinvolto. La risposta calorosa si spera sia di buon auspicio per un lungo viaggio di questo 7 minuti dopo Nancy.
Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche
Jonas di Carissimi e Vanitas di cinque compositori contemporanei hanno chiuso le celebrazioni per i trecentocinquanta anni dalla morte del grande maestro del Seicento
Il primo pianista francese a vincere il Čajkovskij di Mosca conquista il pubblico milanese con un interessante quanto insolito programma.