Turandot? Un Incubo
Puccini apre la stagione al San Carlo di Napoli
Con Lissner al comando si è aperta ufficialmente la nuova stagione 2023-2024, dedicata alle celebrazioni dei centenari di Giacomo Puccini (1924-2024) e di Maria Callas (1923-2023), sabato 9 al Teatro San Carlo di Napoli. In scena la Turandot con il finale di Franco Alfano firmata da Vasily Barkhatov e diretta da Dan Ettinger. Non si interrompe quindi sul nodo cruciale del dramma, la trasformazione della principessa Turandot, algida e sanguinaria, in una donna innamorata, che Puccini cercò invano di risolvere.
La questione non è di cornice o di sonorità, ma di significato. E Barkhatov, con il suo super “happy end” è fortemente interessato alle ragioni del cuore, costrette da regole e convenzioni esterne: Calaf-Turandot già in crisi recitano in tre video girati a San Lorenzo Maggiore di Napoli, in cui la coppia è vittima di un incidente stradale di ritorno dal funerale di Timur e dopo una lite, a turno si trovano nella situazione intermedia tra la vita e la morte nel primo e secondo atto, lottano per restare in vita e realizzare il loro amore al terzo. Vasily Barkhatov, regista russo di Mosca, legge l’opera evitando il cliché della tradizionale impostazione scenica cinese e giustamente si ispira a Tarkowsky, dal film Nostalghia in particolare ricreando l’abbazia di San Galgano: ci mette poi tutto quel che si può al plot per spiegarsi. Ma una prospettiva tanto controcorrente richiede scelte, essenzialità visiva. Qui invece i simboli sono troppi, le scene di Zinovy Margolin affastellate – con auto dell’incidente e sala operatoria che salgono e scendono senza seguire la musica, come anche il movimento delle barche difficile da interpretare – i costumi di Galya Solodovnikova incerti tra moderno ospedaliero e medioevo. Lo spettacolo perde quindi il fascino delle musiche intrise di misteri e drammaticità oscure, le allegorie del bene e del male, la loro geografia poetica orientale.
Il fronte musicale invece riesce: orchestra, coi legni pastosi, gli archi evidenti, e coro di Piero Monti primoattore, compatto e sonoro. Lei, Turandot- Sondra Radvanovsky, di voce possente, appena un po' graffiante e con le consonanti leggermente dure, nonostante la pesante armatura dorata a tenerla algida e fredda riesce con fraseggi di bravura. Ettinger dirige con sapiente vigore e rifulge con scrupolo i tanti movimenti di ritmi binari, ternari che fratturano lo scorrere del tempo e le inverse distensioni ritmiche delle arie, seguendo costantemente i grumi tematici musicali dell'opera, dosando gli equilibri tra momenti lirici e scatti ritmici, il resto lo fanno i cantanti e soprattutto il coro. Quest'ultimo sin dall'inizio punta su di una quantità di sfumature che esaltano la sua importanza, la sua dualità prima crudele poi misericordioso, e le scene corali che lo vedono fulcro sono sempre incisive ed incalzanti "... dove regna Turandot". Insieme soave e delicato il coro di bambini diretto da Stefania Rinaldi che prepara l'entrata di Turandot in scena "Là, sui monti dell’est". L’eccellente interpretazione di Rosa Feola Liú quasi pone in ombra la protagonista, con buon timbro, di sicuro la più credibile.
Incerto Yusif Eyvazov Calaf, che non fugge o si affretta all'acclamatissimo "Nessun dorma" – ma senza applausi a scena aperta, e ci deve essere stato un motivo. Goffo il trio delle maschere, vestiti da chirurghi e mascherati, Roberto De Candia Ping, Gregory Bonfatti Pang, Francesco Pittari Pong - che esorcizzano con poca ironia la sofferenza del dramma all'inizio del secondo atto. Nicola Martinucci restituisce al meglio l’inconsistenza politica dell'Imperatore Altoum, e Alexander Tsymbalyuk tiene sul velluto l’impervio ruolo di Timur. Opera tuttavia di estreme malinconie, dietro la griglia dei timbri esotici o delle solennità cavalleresche. San Carlo al completo, senza fischi (ormai non usano) ma senza applausi allo spettacolo. Bella la nuova versione del programma di sala: erano un riferimento le cronologie a cura di Enrico Tellini.
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