Turandot, principessa dei video
A Karlsruhe arriva la “Turandot” di Puccini con la videoscenografia dei russi di AES+F
I video nel teatro possono diventare un’arma a doppio taglio. Vanno usati con saggezza o si rischia di esserne sopraffatti e di trasformare uno spettacolo teatrale in una videoinstallazione. Se qualche volta il gioco per fortuna riesce, come ad esempio nel brillante Zauberflöte firmato da Barrie Kosky e Suzanne Andrade per la Komische Oper e visto in mezzo mondo, altre volte riesce meno e i risultati sono generalmente deludenti sul piano teatrale, specie quando la regia batte in ritirata. È il caso della Turandot pucciniana approdata al Badisches Staatstheater dopo le tappe italiane al Massimo di Palermo e al Comunale di Bologna, co-produttori dello spettacolo, e in chiusura dei due giorni del simposio dedicato a “Opera e arte multimediale” promosso con il ZKM, il Centro per l’Arte e la Tecnologia dei Media, a Karlsruhe.
A realizzare scenografia e costumi è il collettivo russo di videoartisti AES+F (al secolo Tatiana Arzamasova, Lev Evzovich, Evgeny Svyatsky e Vladimir Fridkes), attivo dal 1987 e nella formazione attuale dal 1995, già ospiti della Biennale di Venezia con le loro videoinstallazioni in due occasioni, il cui manifesto dichiara la volontà di realizzare una sorta di “psicoanalisi sociale” attraverso la quale rivelare e esplorare valori, vizi e conflitti della cultura globale contemporanea. Non nuovi alle esperienze teatrali, alla loro prima incursione nel mondo operistico con questa Turandot, fanno quello che fanno sempre nei loro lavori: inventano un mondo visivo fatto di paesaggi metropolitani in un futuro distopico con presenze liquide e minacciose in movimento costante, molto debitore dell’estetica ingenua e fortemente stilizzata di certa cultura visiva dell’estremo oriente. Soprattutto impongono una drammaturgia personale e dal segno forte della favola crudele della principessa che decapita i pretendenti per vendicare la violenza sull’ “ava dolce e serena” Lou-Ling.
Tre schermi posti nella parte superiore della scena rimandano in continuo immagini fantasmagoriche e cromaticamente lisergiche, che tracimano nei coloratissimi costumi del coro, dei tre ministri rosso-carminio e del mandarino in blu elettrico, mentre biancofreddo e con luci LED è il costume scelto per la principessa di gelo, grigio-nero mimetico per il soldato Calaf, bianche sono anche la divisa da satrapo mediorientale per Timur e la tenuta infermieristica della badante Liù. Biancovestite sono anche le guardie imperiali con volto coperto dal burqa e manganelli laser verdi modello Star Wars. La regia di Fabio Cherstich, quando c’è (e c’è poco), si limita a dirigere il gran traffico sulla scena che si arresta una volta sistemato il coro sulle due tribune rosse ai lati della scena. Assente la regia, la scena se la prende tutta la storyboard degli AES+F con sontuosa colonna sonora pucciniana.
Nel complesso molto apprezzabile la realizzazione musicale nonostante un cast vocale con qualche fragilità soprattutto nella Liù di Agnieszka Tomaszewska. Meglio i due protagonisti, soprattutto il Calaf di Rodrigo Porras Garulo, giovane tenore con qualche fragilità ma di bel timbro luminoso e carattere lirico, mentre la Turandot di Elena Mikhailenko, sa fraseggiare con morbidezza ma cede alle usuali sguaiataggini sopranili nel fragoroso finale di Alfano. Ben affiatati ma un po’ trattenuti nella parentesi sognante del secondo atto i tre ministri di Edward Gauntt, Klaus Schneider e Matthias Wohlbrecht, funzionali sono il sonoro Mandarino di Seung-Gi Jung e il Timur di Vazgen Gazaryan. Corposa la prestazione del Coro del Badisches Staatstheater rinforzato e precisa quella delle voci bianche di Cantus Juvenum. A tenere le fila dell’esecuzione musicale è il Kappelmeister della casa, Johannes Willig, corretto ma che si vorrebbe talvolta con più slancio e più propensa a far risaltare la pregevole qualità della Badische Staatskapelle in buca.
Teatro esaurito alla prima. Caldi applausi agli interpreti ma molti fischi al team registico.
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