Tempo di sacrifici
Perché i musicisti devono rinunciare ai loro privilegi
Recensione
classica
In questi tempi di crisi ogni categoria di lavoratori, ogni ceto sociale, ogni classe (se siete ancora legati a questo vecchio concetto) è chiamata a dare il suo contributo, a rinunciare a privilegi, ad accettare sacrifici per il bene comune. Operai, precari della scuola, taxisti, notai, farmacisti, professionisti, giovani in cerca di prima occupazione; su tutti la scure delle liberalizzazioni, della riforma pensionistica, della mobilità si abbatte impietosa.
Solo due categorie sono rimaste finora al riparo dalla tempesta: i musicisti e le banche.
Quest’ultime, ingiustamente accusate di rifilare obbligazioni truffaldine a pensionati e risparmiatori, in realtà sono semplicemente vittime della contingenza, costrette dalla stretta dei tempi a far quadrare i conti in un modo o nell’altro per il bene di tutti. Le banche d’affari hanno inventato i titoli ad alto rischio per ridare fiato a un’economia in crisi per il crollo della domanda e se Lloyd Blankfein, amministratore di Goldman Sachs, nel solo 2007 si è portato a casa un assegno da 68 milioni di dollari, non dobbiamo dimenticare che la geniale invenzione dei mutui subprime è una conquista che ha cambiato forse per sempre il volto del capitalismo.
I musicisti, invece, e davvero non se ne capiscono i motivi, godono ancora di alcuni privilegi che potrebbero peraltro essere facilmente cancellati.
Partiamo dalla pensione.
È pur vero che l’Enpals, da poco peraltro scomparsa, non ha mai garantito loro la benché minima garanzia di una vecchiaia dignitosa, ma rimane pur sempre la pensione d’anzianità. Ora, come tutti sanno, quando il vino è buono, l’invecchiamento permette di ottenere risultati di eccellenza. Il terzo stile di Bach e il tardo stile di Liszt, gli ultimi quartetti di Beethoven, la longevità di molti grandi interpreti (da Horowitz a Rostropovitch, da Boulez a Compay Segundo) sono a testimoniare che la qualità spesso va di pari passo con l’avanzare dell’età. Riuscite a immaginare Mick Jagger e Keith Richard che giocano a bridge in un centro anziani di Chelsea? Giusto quindi abolire del tutto la pensione d’anzianità per questa categoria, proprio per stimolare i musicisti a dare il meglio di sè fino all’ultimo giorno di vita. Una recente ricerca pubblicata su “Le Scienze” ha poi dimostrato che un’educazione musicale protratta per tutto l’arco della vita consente di rallentare e arginare il declino di alcune facoltà, come la memoria, che solitamente si manifestano con l’invecchiamento, rendendo quindi superfluo il sussidio dello Stato al musicista di età avanzata.
Per quanto concerne la mobilità è evidente che, a parte i musicisti d’orchestra, ben protetti dalle associazioni sindacali, è difficile riscontrare a questo riguardo privilegi nella categoria. Ma è pur vero che una maggior possibilità da parte del committente di evitare la pratica del contratto o l’inquadramento della materia in regole condivise, darebbe maggiore libertà agli imprenditori e nello stesso tempo stimolerebbe gli artisti a un maggiore dinamismo nell’esercizio della professione.
Fortunatamente gli ammortizzatori sociali non hanno mai interessato la categoria: il musicista per la natura stessa del suo lavoro si mantiene costantemente aggiornato a spese proprie. Se è strumentista sarà sua cura prendere parte a stage, masterclass, corsi di perfezionamento; è suo compito anche un continuo aggiornamento informatico per mantenere il passo con il costante updating di software, sistemi operativi, tecnologie e macchine. Una recente normativa ha poi del tutto annullato ogni parvenza di legge che ipotizzasse l’appartenenza di chi è impiegato nel mondo dello spettacolo alla categoria dei lavoratori: cancellato ogni sussidio di disoccupazione e assistenza mutualistica in caso di incidente che impedisca all’artista di svolgere appieno la propria attività. In questo ambito risulta quindi difficile migliorare la legislazione vigente.
La libertà dell’artista costituisce poi un elemento di caos e disordine sociale inaccettabile in questi tempi di rigore a austerità. Pensate all’eccellenza raggiunta da Telemann e da Haendel, che alle dipendenze di principi, vescovi e regnanti di mezza Europa hanno prodotto opere di imperituro valore: il modello potrebbe essere riproposto con successo, anche se questo in parte già accade data la gerarchizzazione che caratterizza il mondo istituzionale della musica, dove le decisioni che contano vengono prese da poche e illuminate autorità che non devono rendere conto a nessuno del proprio operato.
La SIAE, società che agisce in regime di monopolio a difesa del diritto d’autore, ha più il funzionamento di un ente parastatale che di un organismo di autotulela della categoria, e agisce da tempo in regime di commissariamento per via della gestione imbarazzante. Si potrebbe ridimensionare il suo ruolo, lasciandone in vita solo gli uffici che si occupano della riscossione della quota associativa e dell’invio delle sanzioni pecuniarie ai soci. Si rafforzerebbe così la sua azione in campo immobiliare, finanziata anche attraverso l’aumento del costo del bollino da applicare su cd, dvd e supporti multimediali in genere. Anche la tassa sui supporti vergini (attualmente pari a € 0,25 a pezzo nel caso dei cd) potrebbe essere arrotondata a € 1.00 per evitare il problema degli spiccioli.
Per concludere, nelle società del mondo industriale avanzato gli artisti sono troppi. Pare che solo negli Usa ci siano circa quindici milioni di chitarristi di un certo livello, e dodici milioni di batteristi. Non c’è più abbastanza denaro per sfamare tutti questi sedicenti artisti, insomma è un lusso che la società non può più permettersi. Come dice poi il nostro ex ministro Brunetta, non bisogna confondere il mondo dello spettacolo con quello della Cultura. Forse la società non ha affatto bisogno di questi parassiti, capaci solo di succhiare nutrimento dai ceti produttivi in cambio di occasioni di svago e manifestazioni spesso indecenti di narcisistica vanità. Quindi, pur non pesando attualmente in alcun modo sulla società, una buona riforma potrebbe prevedere da parte dei musicisti il pagamento di una tassa annuale per godere della possibilità di svolgere la propria attività; solo così si potrebbe arginare la diffusione di una pratica che, nonostante sia oggi esercitata a livello professionale in modo sempre meno diffuso rispetto al passato, continua a costituire un’inutile e quindi dannosa occasione di distrazione.
Quest’ultime, ingiustamente accusate di rifilare obbligazioni truffaldine a pensionati e risparmiatori, in realtà sono semplicemente vittime della contingenza, costrette dalla stretta dei tempi a far quadrare i conti in un modo o nell’altro per il bene di tutti. Le banche d’affari hanno inventato i titoli ad alto rischio per ridare fiato a un’economia in crisi per il crollo della domanda e se Lloyd Blankfein, amministratore di Goldman Sachs, nel solo 2007 si è portato a casa un assegno da 68 milioni di dollari, non dobbiamo dimenticare che la geniale invenzione dei mutui subprime è una conquista che ha cambiato forse per sempre il volto del capitalismo.
I musicisti, invece, e davvero non se ne capiscono i motivi, godono ancora di alcuni privilegi che potrebbero peraltro essere facilmente cancellati.
Partiamo dalla pensione.
È pur vero che l’Enpals, da poco peraltro scomparsa, non ha mai garantito loro la benché minima garanzia di una vecchiaia dignitosa, ma rimane pur sempre la pensione d’anzianità. Ora, come tutti sanno, quando il vino è buono, l’invecchiamento permette di ottenere risultati di eccellenza. Il terzo stile di Bach e il tardo stile di Liszt, gli ultimi quartetti di Beethoven, la longevità di molti grandi interpreti (da Horowitz a Rostropovitch, da Boulez a Compay Segundo) sono a testimoniare che la qualità spesso va di pari passo con l’avanzare dell’età. Riuscite a immaginare Mick Jagger e Keith Richard che giocano a bridge in un centro anziani di Chelsea? Giusto quindi abolire del tutto la pensione d’anzianità per questa categoria, proprio per stimolare i musicisti a dare il meglio di sè fino all’ultimo giorno di vita. Una recente ricerca pubblicata su “Le Scienze” ha poi dimostrato che un’educazione musicale protratta per tutto l’arco della vita consente di rallentare e arginare il declino di alcune facoltà, come la memoria, che solitamente si manifestano con l’invecchiamento, rendendo quindi superfluo il sussidio dello Stato al musicista di età avanzata.
Per quanto concerne la mobilità è evidente che, a parte i musicisti d’orchestra, ben protetti dalle associazioni sindacali, è difficile riscontrare a questo riguardo privilegi nella categoria. Ma è pur vero che una maggior possibilità da parte del committente di evitare la pratica del contratto o l’inquadramento della materia in regole condivise, darebbe maggiore libertà agli imprenditori e nello stesso tempo stimolerebbe gli artisti a un maggiore dinamismo nell’esercizio della professione.
Fortunatamente gli ammortizzatori sociali non hanno mai interessato la categoria: il musicista per la natura stessa del suo lavoro si mantiene costantemente aggiornato a spese proprie. Se è strumentista sarà sua cura prendere parte a stage, masterclass, corsi di perfezionamento; è suo compito anche un continuo aggiornamento informatico per mantenere il passo con il costante updating di software, sistemi operativi, tecnologie e macchine. Una recente normativa ha poi del tutto annullato ogni parvenza di legge che ipotizzasse l’appartenenza di chi è impiegato nel mondo dello spettacolo alla categoria dei lavoratori: cancellato ogni sussidio di disoccupazione e assistenza mutualistica in caso di incidente che impedisca all’artista di svolgere appieno la propria attività. In questo ambito risulta quindi difficile migliorare la legislazione vigente.
La libertà dell’artista costituisce poi un elemento di caos e disordine sociale inaccettabile in questi tempi di rigore a austerità. Pensate all’eccellenza raggiunta da Telemann e da Haendel, che alle dipendenze di principi, vescovi e regnanti di mezza Europa hanno prodotto opere di imperituro valore: il modello potrebbe essere riproposto con successo, anche se questo in parte già accade data la gerarchizzazione che caratterizza il mondo istituzionale della musica, dove le decisioni che contano vengono prese da poche e illuminate autorità che non devono rendere conto a nessuno del proprio operato.
La SIAE, società che agisce in regime di monopolio a difesa del diritto d’autore, ha più il funzionamento di un ente parastatale che di un organismo di autotulela della categoria, e agisce da tempo in regime di commissariamento per via della gestione imbarazzante. Si potrebbe ridimensionare il suo ruolo, lasciandone in vita solo gli uffici che si occupano della riscossione della quota associativa e dell’invio delle sanzioni pecuniarie ai soci. Si rafforzerebbe così la sua azione in campo immobiliare, finanziata anche attraverso l’aumento del costo del bollino da applicare su cd, dvd e supporti multimediali in genere. Anche la tassa sui supporti vergini (attualmente pari a € 0,25 a pezzo nel caso dei cd) potrebbe essere arrotondata a € 1.00 per evitare il problema degli spiccioli.
Per concludere, nelle società del mondo industriale avanzato gli artisti sono troppi. Pare che solo negli Usa ci siano circa quindici milioni di chitarristi di un certo livello, e dodici milioni di batteristi. Non c’è più abbastanza denaro per sfamare tutti questi sedicenti artisti, insomma è un lusso che la società non può più permettersi. Come dice poi il nostro ex ministro Brunetta, non bisogna confondere il mondo dello spettacolo con quello della Cultura. Forse la società non ha affatto bisogno di questi parassiti, capaci solo di succhiare nutrimento dai ceti produttivi in cambio di occasioni di svago e manifestazioni spesso indecenti di narcisistica vanità. Quindi, pur non pesando attualmente in alcun modo sulla società, una buona riforma potrebbe prevedere da parte dei musicisti il pagamento di una tassa annuale per godere della possibilità di svolgere la propria attività; solo così si potrebbe arginare la diffusione di una pratica che, nonostante sia oggi esercitata a livello professionale in modo sempre meno diffuso rispetto al passato, continua a costituire un’inutile e quindi dannosa occasione di distrazione.
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