Ricordando Massimo de Bernart, che bel Mozart con l’Ort
Diego Ceretta sul podio dell’Orchestra della Toscana e Lera Auerbach al pianoforte in un concerto all’insegna dell’originalità e del talento
Questo concerto si è aperto con il vivace ricordo, da parte del direttore artistico Daniele Spini, di Massimo de Bernart, che dell’Orchestra della Toscana fu, nel 1980, il primo direttore, e che si ricordava a vent’anni dalla scomparsa. Era anche la nuova apparizione in stagione del giovane direttore principale dell’Orchestra della Toscana, il ventisettenne Diego Ceretta, con una monografia mozartiana (il concerto pianistico K 466 e la Jupiter) preceduta da una pagina per orchestra, Eterniday, Homage to W.A.Mozart, di Lera Auerbach, che di lì a poco avrebbe suonato il K 466 e che, oltre che pianista e direttrice, è anche compositrice,, poetessa e artista visiva.
Non avendo particolare passione per il linguaggio largamente neoromantico evidenziato dal pezzo in questione, come dalle cadenze originali del K 466, dichiariamo risolutamente di preferirla come pianista. Un’interprete dal suono di una lucentezza e presenza rare e perentorie anche nella delicatezza, dall’emissione perfettamente articolata senza essere mai tagliente o assertiva, anzi all’insegna della più felice naturalezza, un’artista dalla malìa che è di quelle che prendono l’ascoltatore alla prima nota e se lo tengono, e con un’oramai insolita generosità dei fuori programma, con un Rachmaninov e due Scarlatti. Qui la natura direttoriale rigorosa ma scioltissima di Ceretta si è rivelata anche in un arte dell’accompagnare di cui ci ha impressionato, in particolare, la prontezza nei rientri dell’orchestra sul pianoforte, in una sorta di meteora fiammeggiante, quanto mai fascinosa.
Ma ma non meno convincente la sua Jupiter, sul podio di un’Ort veramente in grandissima forma: lo sbalzo delle dinamiche fra affermazioni accordali e delicate risposte dell’invenzione mozartiana, il nitore delle linee e delle sovrapposizioni, e infine, nel celebre e lungo finale in bilico fra “arte della fuga” e tragitti sonatistici, una graduazione molto abile e sapiente di quelle lunghezze e iterazioni, con risultato sempre fermamente controllato ma sempre nuovo e interessante. Bravo davvero, e successo ottimo per la Auerbach, per lui, per l’orchestra.
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