Radames, Lohengrin e il “teatro nel teatro”

I due atti unici di Eötvös e Sciarrino hanno inaugurato la quinta Stagione d’Opera della Fondazione Haydn di Bolzano e Trento

Lohengrin (Foto Massimo Franceschini)
Lohengrin (Foto Massimo Franceschini)
Recensione
classica
Bolzano, Teatro Comunale
Radames di Péter Eötvös e Lohengrin di Salvatore Sciarrino
18 Gennaio 2020 - 19 Gennaio 2020

Il particolare dittico rappresentato da Radames di Péter Eötvös e Lohengrin di Salvatore Sciarrino ha aperto la quinta Stagione d’Opera della Fondazione Haydn di Bolzano e Trento che quest’anno il direttore artistico Matthias Lošek ha voluto titolare “Angel or Demon”. Una contrapposizione ideale che ha preso forma in questa occasione in una dicotomia drammaturgica che ha messo a confronto l’ironica e sarcastica concretezza del lavoro del compositore ungherese con l’astrazione drammatico-psicologica racchiusa nell’opera dell’autore siciliano.

Un dualismo che si è innestato in quel gioco del “teatro nel teatro” rappresentato da un lato dai riferimenti al repertorio operistico e letterario dei due titoli – rispettivamente l’esplicito richiamo alla verdiana Aida per Radames e il rimando al racconto Moralités légendaires del simbolista Jules Laforgue per Lohengrin – e dall’altro dalla collocazione del pubblico che è stato ospitato direttamente su una parte del palcoscenico del Teatro Comunale, l’altra metà del quale occupata dalla scena vera e propria. Una scelta che ha immerso le due messe in scena in un’atmosfera raccolta, quasi cameristica, declinata però in maniera differente nella lettura scenica dei due titoli.

In Radames, opera del 1976 e qui proposta in prima italiana, la vicenda di un’improbabile compagnia teatrale impegnata nell’allestimento di un’Aida “al risparmio”, con un solo cantante – che incarna il doppio ruolo di Radames e Aida – e tre registi, è stata restituita con buon impegno dal bravo controtenore Rafał Tomkiewicz (Radames) e dai brillanti Céline Steudler (regista d’opera), Alexander Kaimbacher (regista di teatro), Javid Samadov (regista di film), nel corso di una lettura nel complesso funzionale nel delineare una drammaturgia alla lunga alquanto statica che, a parte alcune efficaci invenzioni strumentali, non ha nascosto la connotazione anche ideologica legata al periodo storico nel quale Eötvös ha composto questo lavoro.

La dimensione “cameristica” è diventata esplicita con Lohengrin, dove abbiamo ritrovato la voce di soprano di Céline Steudler nei panni della protagonista Elsa rinchiusa nella camera di un ideale ospedale psichiatrico, la cui drammatica peregrinazione psicologica è stata restituita con vocalità intensa dalla stessa Steudler, efficace nel gestire un disegno musicale che univa decantazioni liriche, grumi fonetici e colpi di tosse. Lo spazio scenico, tratteggiato da una sorta di bianca ragnatela intrecciata, faceva da ideale contraltare alla musica che Sciarrino ha composto per questo lavoro – andato in scena nella sua prima versione a Milano 1983 e l’anno dopo nella versione rivista a Catanzaro – segnata dalle raffinate trasparenze timbriche di una tessitura orchestrale (e corale) dall’elegante ordito, che pareva rievocare a tratti, pur nelle sostanziali differenze delle due composizioni, i frammenti sonori del quasi coevo Autoritratto nella notte per orchestra.

La regia di Bruno Berger-Gorski – con scenografia e costumi di Dirk Hofacker e luci di Samuele D’Amico – ha delineato con sostanziale funzionalità le due dimensioni sceniche, con un certo indugio un poco retorico nelle gestualità ricercate per l’opera di Eötvös e con qualche ridondanza nella presenza in scena degli infermieri che accudivano Elsa nel lavoro di Sciarrino. Attenta e accurata la direzione di Yannis Pouspourikas alla guida degli affiatati musicisti dell’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento.

Gli applausi del nutrito pubblico presente alla “prima” hanno infine salutato entrambe le opere, frutto di una coproduzione di Fondazione Haydn e Theater Orchester Biel Solothurn.

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