Quando esser bravi non è ancora abbastanza

Un "Don Carlo" di buon livello, soprattutto se si considera quel che offre il mercato delle voci, ma slegato: mancava la ricchezza di significati che deve trasformare questo dramma intimo di anime in grande affresco storico.

Recensione
classica
Teatro di San Carlo Napoli
Giuseppe Verdi
24 Aprile 2001
A Napoli, dopo la seconda guerra mondiale, non era mai successo che passassero ben diciassette anni tra un "Don Carlo" e il successivo: se è vero che la piena rivalutazione di questo capolavoro aveva segnato una tappa importante nella definizione di un'immagine di Verdi meno superficiale e approssimativa, allora la diradazione delle sue presenze negli ultimi anni (Napoli non è un caso isolato) non è un buon sintomo. Bisogna riconoscere che la difficoltà di reperire le sei grandi voci verdiane necessarie può scoraggiare qualsiasi teatro: il San Carlo ha fatto il possibile, considerando quel che oggi offre il mercato delle voci, ma può bastare? Sì, se ci si accontenta di una successione di momenti, alcuni buoni, altri meno. Allora si può dire che Dimitra Theodossiou si presenta con un un dolente e nobile "Non pianger mia compagna", veramente emozionante, ma che poi il suo continuo ricorso alle filature, ignorando le indicazioni espressive di Verdi, rende evanescente, snervata, apatica la sua Elisabetta. Che Ildiko Komlosi ha la presenza scenica di Eboli, ma che come cantante è solo affidabile e diligente (ma anche astuta, quando sfiora appena le note che non gradisce, perché troppo acute o troppo gravi). Che il Don Carlo nevrotico, debole, sognatore e incoerente di Salvatore La Scola è un'interpretazione di grande rilievo, cui non nuoce troppo un po' di nervosismo, palpabile soprattutto all'inizio. Che Leo Nucci è un baritono verdiano con le carte in regola e che vuole metterle tutte in tavola nel duetto con Filippo II: è vero che Posa è l'unico personaggio a parlare e agire apertamente in una tragedia in cui tutti seguono strategie sottili e contorte, ma questo non significa che debba gridare, soprattutto in faccia al re! Che lo stesso Nucci è sublime nella scena della prigione. Che José van Dam, con meno voce dei suoi colleghi, dà a tutti una lezione col suo Filippo II. Che Vladimir Vaneev è un Inquisitore degno di affrontare un così grande artista in uno dei duetti più grandiosi di tutta la storia dell'opera. Ma il "Don Carlo" è un dramma troppo complesso per poterlo risolvere in episodi isolati: i singoli protagonisti dovrebbero rivelarsi e definirsi progressivamente nella loro individualità e nei loro rapporti reciproci; le singole scene, contrastanti e apparentemente centrifughe, dovrebbero contribuire tutte al dramma complessivo, mettendo a fuoco grandi temi (il potere, la religione, ...) che trascendono i singoli fatti rappresentati. Questo non è avvenuto, sebbene alla direzione di Gabriele Ferro (piuttosto accurata ma in fin dei conti superficiale nella sua alternanza di clangori e lentezze) e all'allestimento scenico di Walter Le Moli, Tiziano Santi e Giusi Giustino (modernamente asciutto ed essenziale ma rinunciatario di fronte alla stratificazione e diversità di situazioni da cui il "Don Carlo" trae il suo significato) si possano imputare solo colpe veniali.

Note: nuovo all. del Teatro di San Carlo

Interpreti: Theodossiou, La Scola/Larin, Nucci/Meoni, Komlosi, van Dam, Vaneev, Signorini, Dinu, Buffoli, Zanfardino, Marbach

Regia: Walter Le Moli

Scene: Tiziano Santi

Costumi: Giusi Giustino

Orchestra: Orchestra del Teatro di San Carlo

Direttore: Gabriele Ferro

Coro: Coro del Teatro di San Carlo

Maestro Coro: Luigi Petrozziello

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