In occasione dei festeggiamenti per il sessantesimo anniversario della fondazione dello stato di Israele, alla presenza di autorità italiane e isareliane, l'Israeli Opera ha rappresentato a Roma una delle prime opere di un nascente repertorio operistico in lingua ebraica, che, senza essere un capolavoro, sa giungere a un pubblico che si sappia accontentare di una tradizione appena aggiornata.
La trasformazione d'un romanzo di successo in fiction televisiva, film o opera procura regolarmente una delusione: non perché sia "meglio il libro", ma perché sono media molto diversi e riassumere un romanzo - sistema che poteva funzionare al tempo di "Lucia di Lammermoor" - si risolve inevitabilmente in una drammaturgia obsoleta e statica per un'opera del ventunesimo secolo. Che sia il celebre romanziere in persona, Abraham B. Yehoshua, a confezionare il libretto non migliora affatto le cose, perché inevitabilmente guarda più al romanzo che al teatro musicale. Così nella prima parte dell'opera si raccontano i fatti da cui tutto nasce, necessari in un'opera di narrativa non in teatro: si parla molto (i sovratitoli sono quasi illeggibili e non aiutano) e non manca qualche occasione per quella che un tempo si sarebbe definita musica caratteristica (nozze ebraiche intorno all'anno 1000). Nella seconda parte la suddivisione in soli, duetti, terzetti, pezzi d'insieme e cori sono anche più tradizionali, ma ora non mancano ritmo teatrale, drammaticità, passioni e contrasti.
Con questo materiale nemmeno Omri Nitzan, la cui regia di Amleto ha fatto il giro del mondo, può inventare molto: nelle parti più statiche i protagonisti non vanno molto oltre la gesticolazione operistica standard, ma dove c'è l'occasione, non manca qualche idee suggestiva (il viaggio per mare).
Josef Bardanashvili è un musicista che sa il fatto suo, scrive per le voci e per l'orchestra con abilità, sa dare colore alle varie scene (anche reinventando voci e suoni della vita ebraica di mille anni fa), talvolta si limita a descrivere ma non si tira indietro quando c'è l'opportunità d'una musica che afferri l'ascoltatore sul piano emotivo. È israeliano ma si avverte che si è formato in Russia: declamati e cori alla Musorgsky, molto Shostakovich, ma anche un po' Ciajkovskij in lontananza, quando entrano in scena le grandi passioni. Anche visceralità mahleriane e livide asprezze berghiane. È un musicista proteiforme, che cambia aspetto continuamente, non si riesce a mettergli un'etichetta.
Asher Fisch dirigeva i solisti e i complessi dell'Israeli Opera, tutti veramente ottimi. Pubblico da occasione ufficiale (si celebrava il sessantesimo anniversario dello stato d'Israele) e applausi cordiali.
Note: allestimento dell'Israeli Opera di Tel Aviv
Interpreti: Gaby Sadeh (Ben Atar), Edna Prochnik (la prima moglie), Ira Bertman (la seconda moglie), Yosef Aridan (Abulafia)
Regia: Omri Nitzan
Scene: Ruth Dar
Costumi: Ruth Dar
Coreografo: Daniela Michaeli
Orchestra: Israel Symphony Orchestra Eishon LeZion
Direttore: Asher Fish
Maestro Coro: Yishai Steckler
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