Primavera Musicale a Montecarlo
Il Festival guidato da Bruno Mantovani
E’ particolarmente affezionato al motto di Guillame da Machaut “ma fin est mon commencement” Bruno Mantovani, compositore e direttore artistico del festival Printemps des Arts di Monte Carlo. Torna a riproporlo nell’edizione di quest’anno e, nell’incontro avuto con la stampa italiana, a margine del secondo fine settimana concertistico, ne ribadisce la forza che può avere nello stimolare una riflessione estetica e storica sull’evoluzione stilistica di un compositore.
La sua scelta dell’immagine della rassegna, un dipinto di Robert Guinan, che ritrae una prostituta appoggiata ad un auto, riflette emblematicamente quello che è il pathos di un’attesa, che per lui è proprio anche della musica, afferma infatti: “Per me in musica l’attesa è molto importante”.
Con convinzione illustra i suoi criteri con cui viene impostando le programmazioni del Festival, che non vuole siano improntati all’esigenza spasmodica di attrarre più pubblico possibile - probabilmente se lo può permettere - quanto piuttosto quella di elaborare una linea “coerente”, senza fare “troppe concessioni, per sedurre un pubblico giovane. Voglio fare le cose bene - prosegue - pensando che la possibilità di elevarsi ci può essere per tutti. Il festival è come un’opera, è un momento di crescita, in tal senso penso che Monte Carlo sia un posto di resistenza: dobbiamo mantenerci sulle nostre esigenze, non convertire le persone!”
Quindi non ritiene utile soppesare con il bilancino porzioni di contemporanea con altre di ‘classica’, rivendicando una totale autonomia e libertà nelle scelte, benevolmente concessa dalla madrina del festival, Principessa di Hannover, affermando che “non c’è un’ideologia che imponga una linea fissa: se ho bisogno di un’opera di oggi chiedo ad un compositore di scriverla, ma non c’è una tematica che debba seguire. Printemps des Arts non è un festival di pianoforte, né di musica barocca o di musica del mondo, non è neanche solo di musica e se il prossimo anno vorrò fare solo un festival di poesia - prosegue - farò un festival di poesia, in tal senso sono totalmente libero, non c’è nessuna obbligazione!”.
Così orgogliosamente vanta il fatto di aver invitato la BBC Symphony Orchestra, diretta da Eva Ollikainen, ad eseguire un programma che non aveva in repertorio e che ha preparato specificatamente per Monte Carlo, che è stato il primo concerto che abbiamo seguito, la sera di venerdì 24 marzo, sul palco dell’Auditorium Ranieri III: con la Sinfonia n. 1 di Samuel Barber, il Sibelius di En Saga e della Sinfonia n. 7 e un concerto per piano e orchestra, commissionato alla compositrice Betsy Jolas da parte della BBC e di Radio France, intitolata bTunes.
Fin dalle prime battute della sinfonia di Barber la compagine della BBC si presenta con un colore orchestrale di straordinaria nitidezza ed una sonorità piena, la Ollikainen dirige con gesto ampio e risoluto, delineando con grande chiarezza l’evoluzione degli assunti tematici, i disegni dei fugati, una grande precisione negli stacchi ed una notevole elasticità nel passare repentinamente, da momenti di forte impatto sonoro e ritmico ad altri di ampio respiro. Attitudine che evidenzia anche nelle interpretazioni delle pagine di Sibelius, con una convincente duttilità nel gestire le innumerevoli variabili della scrittura del compositore finlandese: variabili dinamiche, gli scarti e l’irrompere repentino di temi e danze. Così nel corso di En Saga risaltano potenti le sonorità degli ottoni e un bel colore ‘rustico’ della prima viola; e nella Settima sa far emergere, con un potente senso del respiro, le sonorità degli archi, specie dei violoncelli, fino alla gaiezza irrefrenabile della corsa finale di tutta l’orchestra.
Questo gusto per i colori e ed una timbrica ricercata emerge così anche, con il piano di Nicolas Hodges, nel brano della Jolas. Pensata come una sorta di playlist personale bTunes (dove la lettera b sta per, Betsy, il nome della compositrice) si snoda come una successione irrelata di frammenti, citazioni, tic sonori, irruzioni rapsodiche, clangori, slanci espressionistici, rumorosi cluster…una sapiente commistione - summa, eminentemente postmoderna, di tutta una vita musicale - con il gusto di una visione estetica, a tratti anche parodistica, del fatto sonoro come object trouvé.
L’offerta del programma del Festival si snoda quindi nei giorni successivi con un raffinato recital per clavicembalo, di Jory Vinikour, che è passato dagli slanci danzistici e i densi contrappunti di Johann Jakob Froberger alla scrittura contemporanea, intensa e visionaria, di Christophe Maudot con i suoi Désordres passagers pour clavecin.
Nella serata, abbiamo quindi assistito alla seconda parte della proposta dell’integrale delle 10 sonate per piano di Scriabin (la prima era stata eseguita la sera precedente), da parte del pianista Peter Laul, associata alla recitazione di liriche della poetessa russa Anna Akhmatova, nella lingua originale (voce recitante Svetlana Ustinova) e in francese (voce recitante Varduhi Yerisyan). Avrebbe giovato un’adeguata esplicitazione, sul programma di sala, del senso dell’operazione, con la possibilità di leggere la traduzione francese dei testi, in modo da poter capire bene i nessi e le eventuali corrispondenze tra il senso dei testi poetici scelti con le sonate a cui erano associati.
La lettura di Scriabin di Peter Laul si caratterizza per un gesto musicale che ne coglie, con notevole precisione, l’aspetto energico e incisivo. Se tale rigore riesce a dare al complesso dell’esecuzione il senso di una notevole forza, tuttavia a nostro parere sono gli elementi rapsodici e più evanescenti a venirne, per così, dire schiacciati, compressi; non esplicitando quella logica ‘altra’ che in maniera più fluida dovrebbe emergere dal discorso musicale del compositore russo.
Con un piacevole omaggio a Chet Baker, “My Chet My Song”, da parte del quintetto di Riccardo Del Fra (Matthieu Michel, tromba e flicorno; Rémi Fox, sax alto e soprano; Pierrick Pedron, sax alto; Carl_Henri Morisset, piano; Ariel Tessier, batteria; Riccardo Del Fra, contrabbasso) con l’Orchestre des Pays de Savoie si è chiuso il weekend musicale monegasco. Il gusto di contaminare il linguaggio jazzistico con il colore ‘classico’ degli archi, quasi con lo spirito di mettersi il vestito della festa, già lo sperimentò Charlie Parker e lo stesso Baker. Nelle numerose ballads presentate il colore è molto glamour e la vena sentimentale. Quindi nei brani swing emerge un grove incisivo e arrangiamenti elaborati con gusto e grande raffinatezza da un Riccardo Del Fra che porta con sé il testimone del grande trombettista americano, avendo collaborato con lui in varie occasioni, e presentando, tra le altre cose, una preziosa interpretazione di My funny Valentine affidata al contrabbasso solista.
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