Polifemo va al cinema
A Strasburgo va in scena l’opera di Nicola Porpora per la prima volta in Francia
È il grande manifesto del film (in technicolor) Polifemo, dipinto a mano come usava fino a qualche decennio fa, a dare la chiave del nuovo allestimento dell’opera di Nicola Porpora presentata per la prima volta in Francia all’Opéra du Rhin di Strasburgo. Si tratta infatti di un divertito omaggio al cinema dei “sandaloni” (o ai “peplum” dei cugini d’oltralpe) quello immaginato dal regista Bruno Ravella con la complicità della scenografa e costumista Annemarie Woods, che rievoca la Cinecittà degli anni d’oro e il suo mondo fatto di fondali di cartapesta e tuniche ritagliate per mostrare curve di dive e divette e muscoli ben oliati di culturisti americani occasionalmente prestati al cinema.
In effetti la trama del libretto di Paolo Antonio Rolli per l’opera di Porpora composta per il londinese King’s Theatre nel 1735 non è molto diversa da quella di molti film del genere mitologico di moda negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso che riprendevano personaggi mitologici incontrati nei libri di scuola per calarli in avventure immaginifiche quanto improbabili. Qui l’eroe eponimo, che non è nemmeno il protagonista vocale dell’opera, è il pretesto per una stravagante combinazione del Polifemo dell’Odissea omerica, il feroce mostro vittima dell’astuzia di Ulisse, e quello della Metamorfosi ovidiane, terzo incomodo nella love story fra il pastore Aci e la ninfa Galatea. Veri protagonisti sono i due antagonisti delle vicende parallele, ossia Ulisse, che sconfigge il mostro grazie all’aiuto dell’avvenente Calipso (con altra licenza dall’epos ufficiale), e Aci, rivale nell’amore per la ninfa Galatea e vittima della gelosia del mostro. Le due vicende, che hanno pochi punti in comune, vengono presentate come nella cornice comune di un set cinematografico nel quale si gira la vicenda di Ulisse e dei suoi marinai dallo sbarco in Sicilia all’accecamento del gigante antropofago, mentre, fuori dalla fiction, Aci è il modesto pittore dei fondali del set, che vive di nascosto il flirt con la divetta Galatea contesa al tirannico regista, Polifemo nella finzione del cinema. La soluzione è uno spettacolo spiritoso e colorato, privo di effetti speciali (ma l’apparizione del gigante in cima all’Etna, con i Ulisse e i suoi piccoli come bambolotti, strizza l’occhio alle fantasie in stop-motion di Ray Harryhausen), che si preoccupa poco di far tornare i conti di una drammaturgia poco coerente e, come da uso dell’epoca, puro pretesto per i sfoggi di virtuosismi vocali. Del resto il cast della prima londinese sfoggiava ben quattro fuoriclasse come Farinelli, Senesino, la Cuzzoni e la Bordoni nei ruoli principali e il basso Antonio Montagnana nel ruolo del titolo.
A Strasburgo, nel ruolo di Aci, che fu di Farinelli, Franco Fagioli fa mostra di un virtuosismo oltre misura fatto di fiati lunghi, gran sfoggio di trilli e appoggiature e agilità estreme. Si prende la scena nel gran finale destinato praticamente solo a lui con l’unica “hit” dell’opera, “Alto Giove”, che il controtenore tratta come il resto delle sue numerose arie, risultando alla fine in una certa meccanica, monotonia interpretativa. Più articolata la prova dell’altro controtenore, Paul-Antoine Bénos-Djian, un Ulisse prosteticamente muscolare come i vari Steve Reeves o Mark Forest dei film che furono, anche perché meglio servito da una palette di affetti ben più varia rispetto agli umori prevalentemente elegiaci riservati da Porpora all’avvenente e sfortunato pastorello. Le due controparti femminili, Madison Nonoa come Galatea e Delphine Galou come Calipso, aderiscono perfettamente al progetto scenico e sono entrambe stilisticamente impeccabili ma risultano poco penetranti vocalmente, forse penalizzate dal palcoscenico aperto. Anche se non in piena forma vocale, José Coca Loza si destreggia bene nelle cavernose profondità visitate da Polifemo, personaggio reso con un tocco di ironico distacco. Completa il cast Alysia Hanshaw nel piccolo ruolo di Nerea che fa brillare nell’arietta “Una beltà che sa” cantata da un palco di proscenio.
Li accompagna con competenza stilistica Emmanuelle Haïm alla guida del Concert d'Astrées, compagine barocca dal bel suono compatto e coloristicamente ricco anche se talora poco varia nel fraseggio.
Pubblico folto e molto caloroso. Esaurite le cinque recite strasburghesi, lo spettacolo è in cartellone anche a Mulhouse e Colmar fino al 10 marzo e quindi all’Opéra di Lille in autunno.
Allestimento dell’Opéra national du Rhin in coproduzione con l’Opéra de Lille
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