Orliński, il polacco

A Francoforte entusiasmo per il controtenore in recital con il pianista Michał Biel fra barocco e Lied di compositori polacchi fra Otto e Novecento

Jakub Józef Orliński e Michał Biel (Foto Barbara Aumueller)
Jakub Józef Orliński e Michał Biel (Foto Barbara Aumueller)
Recensione
classica
Frankfurt am Main, Opernhaus
Jakub Józef Orliński
17 Maggio 2022

Negli ultimi anni il polacco Jakub Józef Orliński si è imposto sulla scena musicale internazionale come uno dei controtenori che più riscaldano le platee soprattutto per via dell’esuberante fisicità da breakdancer, che non manca di esibire anche nei recital. Le scene di entusiasmo, più consuete nelle platee pop che in quelle più ingessate delle serate di Lied, si sono puntualmente ripetute all’Opernhaus di Francoforte, prima tappa tedesca del tour europeo inaugurato a Bilbao lo scorso 6 maggio, in occasione dell’uscita del suo quarto album “Farewells”, antologia di Lied di compositori del suo paese di origine, che si concluderà a Strasburgo il prossimo 13 giugno. A Francoforte, come ha ricordato lo stesso cantante a inizio concerto salutando un pubblico particolarmente caloroso, Orliński si era già conquistato una certa fama grazie al grande successo personale ottenuto nel 2018 come protagonista del Rinaldo al Bockenheimer Depot, ripreso anche nella stagione successiva dell’Oper Frankfurt, e nella Rodelinda nel 2019, la sua ultima esibizione all’Opernhaus prima della lunga parentesi pandemica. Quasi buio in sala per concentrarsi sull’ascolto e niente orchestra per questo nuovo recital ma “solo” il prezioso pianoforte musicalissimo di Michał Biel, che vanta con il cantante un legame artistico e di amicizia nato, se non proprio fra i banchi di scuola, appena dopo, cioè nel programma per giovani artisti del Teatr Wielki di Varsavia. A lui, soprattutto, si deve l’idea di superare la riserva barocca per esplorare, con una vocalità insolita, un repertorio poco consueto e farlo conoscere oltre i confini polacchi. Si apre comunque nel territorio musicale più consueto per Orliński, quello cioè della musica barocca, con alcuni rodati pezzi del suo repertorio. Apre la serata il meditativo “Non t’amo per il ciel” dall’oratorio Il fonte della salute aperto dalla grazia nel Calvario di Johann Joseph Fux, seguito da quattro arie di carattere molto diverso di Henry Purcell, cioè la celebre “Music for a While” dall’Oedipus, “Fairest Isle” e “The Cold Song”, autentico cavallo di battaglia del cantante, entrambe dal King Arthur, e “Strike the Viol, Touch the Lute”. Eseguite per la prima volta da una voce di controtenore sono le tre brevi liriche su versi di Aleksandr Puškin del ciclo Pożegnania (Addii) del polacco Henryk Czyż, “Kochałem panią” (Ti ho amato), “Na wzgórzach Gruzji” (Sulle colline della Georgia) e “Ostatni raz” (L'ultima volta), creazioni novecentesche ma molto vicine al registro espressivo del cantante. Conclusione di prima parte e ripresa con ancora Purcell “Your Awful Voice I Hear” da The Tempest e “If Music be the Food of Love” prima della seconda parentesi polacca, aperta da un’ampia selezione dalle dieci liriche del Secondo libro di canti op. 3 del tardo-romantico Mieczysław Karłowicz, otto canti di delicato intimismo legati dal comune soggetto amoroso declinato nei bei versi di diversi poeti polacchi (fra queste, spicca soprattutto la crepuscolare “W wieczorną ciszę”, Nella quiete della sera). Più corpose i due pezzi successivi, composti da Stanisław Moniuszko, il padre universalmente riconosciuto dell’opera polacca, “Łza” (Lacrime) dalla settima raccolta dei Canti domestici e “Prząśniczka” dalla terza raccolta, che presenta curiose affinità e non solo con il soggetto con la celebre “Gretchen am Spinnrade” di Schubert. La chiusura è con l’elaborato Amen, Alleluia HWV 269 di Georg Friedrich Händel, quasi un’epitome dello stile canoro di Orliński: le controllatissime messe di voce e l’ottima proiezione mascherano abilmente un’estensione non troppo ampia, e una certa monotona ripetitività nel fraseggio. Le stesse agilità, specialità delle voci barocche, non sono certo pirotecniche come quelle di altri colleghi ma amministrate con intelligenza e sempre commensurate alle sue possibilità. Pubblico naturalmente in delirio e ben quattro bis: “Alla gente a Dio diletta” dall’oratorio Il Faraone sommerso di Nicola Fago, „Czasem, gdy długo na pół sennie marzę sennie“ (A volte, quando sono quasi addormentato e sogno a lungo) di Mieczysław Karłowicz, ancora “Strike the Viol” di Henry Purcell stavolta più “interpretata” e preceduta da un acrobatico movimento di breakdance, molto apprezzato dal pubblico, e la per lui consueta “Vedrò con mio diletto” dal Giustino di Antonio Vivaldi, che chiude la trionfale serata. 

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