Novecento sinfonico made in USA per Axelrod

A Parma il direttore americano ha guidato la Filarmonica Toscanini tra pagine di Gershwin, Bernstein ed Ellington

John Axelrod e Maurizio Baglini (Foto Luca Trascinelli)
John Axelrod e Maurizio Baglini (Foto Luca Trascinelli)
Recensione
classica
Auditorium “Niccolò Paganini” di Parma
John Axelrod, Filarmonica Arturo Toscanini
15 Febbraio 2018 - 16 Febbraio 2018

Con quel sano pragmatismo che caratterizza un certo spirito statunitense, John Axelrod ha preso per mano la Filarmonica Toscanini di Parma e l’ha accompagnata tra le pagine variegate di Gershwin, Bernstein ed Ellington in due serate – noi abbiamo seguito la prima – ospitate all’Auditorium Paganini della città emiliana. Immersa in un immaginario musicale tipicamente made in USA, seppur con i palesi debiti nei confronti della tradizione europea sparpagliati nell’opera di Gershwin e Bernstein – e, per certi versi, anche in Ellington – la compagine orchestrale ha dato prova di buon impegno nel aseguire le indicazioni di un direttore capace di concentrarsi su alcuni elementi essenziali e coltivarne una restituzione efficace all’ascolto.

Uno di questi elementi al centro della lettura di Axelrod è parso il dato ritmico, carattere trasversale delle pagine che hanno composto un programma aperto con due peculiari brani di Bernstein come Prelude, Fugue and Riffs – con il riuscito ruolo solista del clarinetto di Daniele Titti – e Three Dance Episodes da On The Town: il primo piccolo prezioso esempio di equilibrio strumentale, mentre il secondo capace di evocare quella vocazione appassionata nei confronti del musical che il direttore e compositore americano ha coltivato nel corso della sua vita artistica.

Le due pagine di Bernstein hanno fatto da preludio a uno dei capisaldi del repertorio americano del primo Novecento, quella Rhapsody in blue che, fin dalla sua prima esecuzione avvenuta il 12 febbraio del 1924 all'Aeolian Hall di New York, ha rappresentato uno dei più riusciti successi di George Gershwin. Qui il segno interpretativo ha dato spazio a una lettura da un lato compatta nel restituire le ricche e variegate dinamiche orchestrali, dall’altro connotata dal pianismo originale ed efficace di Maurizio Baglini, capace di offrire una dimensione personale ma piacevolmente misurata al ruolo di coprotagonista che questa partitura affida al pianoforte.

La seconda parte del programma ha proposto Harlem di Duke Ellington, forse la pagina dove quel dato ritmico ricordato in precedenza è parso più imbrigliato in un andamento fin troppo regolare, e le Symphonic Dances da West Side Story, dove abbiamo ritrovato il piglio dinamico e trascinante di Axelrod assecondato da un’orchestra capace di restituire il caleidoscopio dinamico che caratterizza l’atmosfera del celebre musical di Bernstein. Un carattere coinvolgente che ha contagiato anche il folto pubblico presente, palesemente soddisfatto: alla fine, sulla scia di un bis bernsteiniano, tutti a cantare “Mambo!”

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