Nabucco, Domingo e le mascherine
Versione Covid per il ritorno al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino della messinscena di Leo Muscato. Placido Domingo, la classe nonostante l'età.
Era certamente Placido Domingo l'elemento di maggior attrattiva in questo Nabucco andato su domenica a Firenze, spettacolo già visto nel 2014 e nel 2016, con la regìa di Leo Muscato, scene e costumi di Tiziano Santi e Silvia Aymonino, e altri cast. Lo scetticismo c'era, data l'età di Domingo, e una presenza da record sui palcoscenici che sembra sfidare qualsiasi fisiologia del canto. Ma in parte abbiamo dovuto accantonarlo. Il volume non è quello che era, ma il timbro non è sfibrato, e la classe naturale, la giustezza delle intenzioni e degli accenti, la qualità così coinvolgente della vocalità e della presenza scenica hanno ancora qualcosa da dare al pubblico, e in definitiva il più applaudito fra i solisti è stato lui, dopo la preghiera del quarto atto “Dio, degli Ebrei, perdono". Maria Jose’ Siri era al debutto come Abigaille, e non abbiamo niente da recriminare per quel che riguarda autorevolezza e presenza vocale e scenica, ideali per la feroce e tormentata Abigaille, ma la lunga frequentazione di ruoli della Giovane Scuola e del Verdi maturo, nei ruoli che l'hanno resa giustamente famosa, lascia forse ancora un po' opaca la sua prestazione per quei momenti in cui invece deve vedersela con una tipologia vocale di tipico drammatico di agilità (però più incisiva e drammatizzata rispetto al retaggio belcantistico, insomma, in effetti, davvero difficile), propria di questo e altri ruoli femminili del Verdi anni Quaranta. Degli altri personaggi principali, l'Ismaele di Fabio Sartori, vocalmente molto buono e aderente al ruolo, era però viziato da un'inerzia scenica che ci è parsa intollerabile, mentre, al contrario, lo Zaccaria di Alexander Vinogradov era efficace scenicamente e a tratti anche vocalmente nella sua statuarietà, ma mancavano le note basse, quelle che danno peso ai personaggi austeri e sacerdotali com'è Zaccaria. Molto bene la Fenena di Caterina Piva e bene anche i comprimari, Alessandro Cacciamani, il sacerdote di Belo, Alfonso Zambuto, Abdallo, Carmen Buendìa. Sul podio, Paolo Carignani ha diretto da direttore rodato. Esprimiamo però una personale protesta per l'uso ormai invalso in tanti direttori di “iperinterpretare” con colori e fraseggi il “Va’ pensiero", che a gusto di chi scrive ci guadagna a non essere sviato dalla sua originaria, meravigliosa semplicità. E che comunque è stato come sempre lungamente applaudito, e bissato. Quanto allo spettacolo, diremmo quasi che ci ha guadagnato. Muscato ha voluto dargli un'esplicita sottolineatura di opera-Covid con tanto di mascherine ai figuranti e al coro quando non cantava. Ma, a parte questo, lo sfoltimento dei ranghi dei figuranti e le sistemazioni frontali del coro hanno conferito alla messinscena un’azzeccata linearità ieratica, e da tale sfoltimento hanno tratto vantaggio alcune soluzioni scenografiche, come il fondale quasi Muro del Pianto delle scene del coro degli Ebrei, e il gioco di luci (Alessandro Verazzi) che accompagnava le transizioni dell'azione. Alla fine, successo molto vivo per l'orchestra, in cui citiamo almeno le sortite del primo flauto Gregorio Tuninetti, del coro istruito da Lorenzo Fratini, e di tutto il cast, con molte chiamate. Repliche 7, 10 e 13 ottobre, sempre alle ore 20.
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