Muti spirituale, anzi amareggiato
Le “Vie dell’amicizia” riportano il Ravenna Festival in Armenia
Attive ormai da un quarto di secolo, le “Vie dell’amicizia” tracciate anno dopo anno dal Ravenna Festival tornano significativamente su luoghi già visitati: toccò a suo tempo a Sarajevo; tocca quest’anno a Erevan, capitale della Repubblica di Armenia. Se nel 2001 Riccardo Muti compì il gemellaggio all’insegna di Verdi, quest’anno è la spiritualità della musica sacra viennese a farla da protagonista.
La stessa “Incompiuta” di Schubert che apre la serata viene risucchiata nella temperie religiosa del programma, sinfonia più mistica per sua natura di tanta musica nominalmente destinata alla liturgia. È raro sentirne oggi il primo tema eseguito così lento, trattenuto, quasi remissivo; e tornano allora inevitabilmente alla memoria certe parole intrise di delusione e stanchezza che il Maestro ha pronunciato in una recente intervista rimbalzata su vari giornali. Se non fosse per il contrapposto tocco di celestialità che apre il secondo movimento, si sarebbe detta una lettura assolutamente nichilista.
Ma ecco che, quasi senza soluzione di continuità, i toni festosi di un tardivo Te Deum di Haydn arrecano fra chi ascolta una boccata d’ossigeno: composizione di scarsa profondità, se paragonata al Kyrie in re minore di Mozart che segue, in cui l’Armenian State Chamber Choir dà il meglio di sé.
A concludere, la seconda Messa di Schubert: una di quelle partiture in cui, alla maniera viennese, il testo viene consumato rapidamente dalla musica senza soffermarsi sui dogmi dottrinali. Alcuni sono addirittura tralasciati dal compositore, più interessato alle espressioni intimistiche di Kyrie e Benedictus, dove si è messo in luce il soprano armeno Nina Minasyan (voce davvero peculiare), affiancato dal tenore Giovanni Sala e dal baritono Gurgen Baveyan.
Come sempre di alto livello la prova dell’Orchestra Giovanile “Luigi Cherubini”, di cui la Sinfonia schubertiana ha permesso di apprezzare in particolare gli archi gravi e i legni. Sinfonia che non verrà tuttavia eseguita il 4 luglio a Erevan, rimpiazzata dalla prima esecuzione assoluta di un brano ispirato al Purgatorio, che il Ravenna Festival ha commissionato al compositore Tigran Mansurian in occasione dell’anno dantesco.
Per garantire l’accesso di quanto più pubblico possibile in regime di distanziamento personale, l’evento non ha avuto luogo quest’anno al Pala De André di Ravenna, ma all’aperto, nel Pavaglione della vicina città di Lugo. Al termine del concerto, Muti ha preso in mano il microfono com’è suo costume, ma senza l’abituale energia e forza comunicativa (neppure un sorriso in tutta la serata), rivendicando il carattere particolare di un tale programma intessuto con musiche che «rappresentano la nostra cultura»: una cultura «non fatta di urli e ingredienti estroversi, capaci d’entusiasmare all’istante un certo tipo di pubblico attraverso una manipolazione del canto, ma che è invece pura spiritualità».
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