Musiche rare con Pappano

Il direttore ha preso la parola per ringraziare il pubblico presente e al contempo per esprimere la sua delusione per i tanti posti vuoti

Antonio Pappano
Antonio Pappano
Recensione
classica
Roma, Auditorium parco della Musica, sala Santa Cecilia
Puccini, Ponchielli, de Sabata
21 Aprile 2022 - 23 Aprile 2022

Per il suo ultimo concerto nella corrente stagione dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia al Parco della Musica, Antonio Pappano ha compilato un interessante e curioso programma, con tre brani di tre musicisti oggi famosi per altri generi di musica. Di Giacomo Puccini un raro lavoro nel campo della musica sacra. Poi un ancor più raro brano sinfonico di un altro operista, Amilcare Ponchielli. E infine un pezzo composto in giovane età da uno dei più grandi direttori d’orchestra del Novecento, Victor de Sabata.

È noto che Puccini discendeva da una stirpe di musicisti attivi principalmente nel campo della musica sacra e che egli stesso mosse i suoi primi passi proprio in quel campo. Di tali sue poche composizioni si persero a lungo le tracce (probabilmente egli stesso le occultò, ritenendole peccati di gioventù) e solo alla fine del Novecento sono state riscoperte. In particolare la Messa di Gloria, che è la più ampia e importante, ha avuto diverse esecuzioni negli ultimi anni. Composta a poco più di vent’anni, rivela un musicista indubbiamente molto dotato, che chiaramente non poteva restare a lungo chiuso nell’ambito della musica sacra, all’epoca diventata un genere vecchio e polveroso, lasciato a modesti maestri di cappella.

Diversamente da quel che si potrebbe immaginare, in questa Messa c’è poco di operistico. Inizia con una sospesa polifonia degli archi, spirituale ma anche sottilmente sensuale; presto si aggiunge il coro con un contrappunto alla Palestrina, naturalmente un Palestrina visto con lenti ottocentesche. Al questo etereo Kyrie  si contrappone il Gloria,  che è la parte di gran lunga più sviluppata - e anche un po’ prolissa - di questa Messa: l’attacco è esultante e pomposo, senza risparmio di trombe e timpani, e la conclusione è un’ampia fuga, come da secoli era la norma an questo punto della Messa, ma tra quest’inizio e questa fine così grandiosi ci sono anche momenti intimi e raccolti. Gli altri movimenti, soprattutto il Sanctus  e l’Agnus Dei, sono molto più concisi. Ovunque si avverte la mano di un giovane di grande talento, che aveva assorbito tutto quello che sulla musica sacra gli era stato insegnato dai suoi maestri lucchesi e soprattutto aveva già delle idee personali, ma che non sapeva ancora bene come incanalare tutto quel che gli vorticava nella testa. Si avverte qualche ingenuità ma prevalgono di gran lunga le idee buone e talvolta ottime. Evidentemente Puccini stesso considerava particolarmente ben riuscito il duetto con coro dell’Agnus,  tanto da riutilizzarlo - con sostanziali modifiche - per il “madrigale” pseudo settecentesco nel secondo atto boudoir della Manon Lescaut:  sulle prime è piuttosto spiazzante imbattersi all’interno di una Messa in quel motivo ascoltato nel boudoir di Manon, ma bisogna riconoscere che la sua delicata dolcezza (non ci sono i tocchi ironici che Puccini inserì poi nell’opera) non stona affatto nell’Agnus Dei.

Ai tre quarti d’ora della Messa di Puccini seguono i dieci minuti o poco più dell’Elegia per grande orchestra  di Ponchielli, che su Puccini ha il vantaggio di aver composto questo pezzo nella piena maturità artistica, ma non si sa esattamente quando e in quali circostanze. Poiché Ponchielli compose altre Elegie commemorative, per esempio per Manzoni e per Garibaldi, si è pensato che questa possa essere stata scritta per la morte di Wagner nel 1883, come sembrerebbero confermare le armonie wagneriane dell’inizio, che non sono affatto velleitarie e creano un’atmosfera struggente e dolorosa, ma senza sentimentalismo. E il bellissimo ‘solo’ del corno inglese non può non ricordare il terzo atto del Tristan  di Wagner. Certamente ci sono anche momenti apertamente melodici all’italiana, ma sorretti da un’armonia comunque densa e ricca, che rivela una conoscenza del grande sinfonismo europeo dell’epoca. È un esempio rarissimo (gli può stare accanto soltanto qualcosa di Martucci e forse di Sgambati) di musica dallo spessore veramente sinfonico nell’Italia della fine dell’Ottocento.

Chiudeva il concerto il poema sinfonico Juventus,  composto dal ventisettenne Victor de Sabata nel 1919, che all’Accademia di Santa Cecilia è stato diretto da una prima volta da Toscanini nel 1920, quindi due volte dallo stesso de Sabata e ancora varie altre volte da altri direttori, per poi essere dimenticato negli ultimi decenni. Il compositore stesso ne tracciò una sorta di programm“Nel comporre Juventus l’autore si è proposto di esprimere musicalmente quegli ‘stati d’animo’ propri della giovinezza e frequenti in certe nature avide di bellezza ed irrequiete di eroismi: tensioni imperiose di volontà e morbidi abbandoni, alternative impensate di inerzie e di disperati scoraggiamenti ed improvvisi ritorni al gaudioso fervore della vita, alla lotta tenace per l’ideale”.

La musica di de Sabata è più nuova e originale di queste sue parole, che risentono del dannunzianesimo di quegli anni. Questa musica ribollente, dall’armonia e dall’orchestrazione personalissime, non ha un corrispettivo nella musica del tempo, al di là di una lontana somiglianza con i poemi sinfonici di Strauss, in particolare il Don Juan. È una musica molto dinamica, fatta di improvvise esplosioni, di rapidi bagliori, di brevi linee che si sovrappongono e si scompongono: ricordando che da adolescente de Sabata fu tentato di dedicarsi alla pittura, si potrebbe azzardare un accostamento alla pittura futurista di Balla.

Pappano si è tuffato anima e corpo in queste musiche così interessanti e il risultato non poteva essere che ottimo, così come ottime sono state le prove di orchestra e coro. Bene anche il tenore Luciano Ganci (intervenuto dopo la generale per sostituire l’indisposto Saimir Pirgu) e il baritono Mattia Olivieri. Purtroppo la sala era semivuota, per il combinato disposto del covid e delle musiche sconosciute in programma. Pappano si è allora rivolto al pubblico per uno dei suoi ormai celebri discorsetti: “Vi ringrazio del vostro fervore ma sono un po’ deluso nel vedere tanti posti vuoti. Giuro che, finché resterò, farò di tutto per rimediare a questo stato di cose”. Più che deluso, era visibilmente contrariato, ma il calore degli applausi lo ha un po’ rasserenato.

  

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