Monteverdi a Rimini

Alla Sagra Musicale Malatestiana

Recensione
classica
Claudio Gallico – chi scrive ha avuto la fortunata ventura di seguirne le lezioni universitarie ormai cinque lustri or sono, anno più anno meno – ebbe a sostenere dei “Madrigali guerrieri et amorosi” di Claudio Monteverdi: “Qui, nel libro ottavo, archétipi ovunque.” Le pagine di questo sommo volume musicale, quindi, come miniera di modelli, esemplari espressivi che custodiscono una drammaturgia in se compiuta, concretata nella fusione tra testo e musica, esaltata in maniera assieme suggestiva e innovativa in quel “Combattimento di Tancredi e Clorinda” che vede, nelle intenzioni dell’autore, la prima applicazione dello stile “concitato”, segno musicale guerresco che completa in una ideale trilogia l’amoroso “molle” e il rappresentativo “temperato”. Un’alchimia la cui decifrazione è stata al centro della produzione in prima esecuzione in forma scenica – regia di Claudia Sorace e drammaturgia Riccardo Fazi di Muta Imago – titolata "Libro Ottavo – Canti guerrieri”, ospitata sabato scorso al Teatro degli Atti di Rimini, tributo della 68esima Sagra Musicale Malatestiana al 450esimo anniversario della nascita dello stesso Monteverdi.

Un appuntamento incastonato in un programma che propone una variegata offerta musicale, spaziando dal “Cimarron” di Hans Werner Henze alle opere di Bach suonate dalla pianista Angela Hewitt, passando dagli appuntamenti sinfonici con protagonisti direttori quali Yuri Temirkanov e Juraj Valčuha, complessi orchestrali come l’Academy of St Martin in the Fields e la Filarmonica di San Pietroburgo con solisti come Daniel Hope e Leticia Moreno. Tornando alla produzione originale con la quale questo longevo festival ha voluto meritoriamente omaggiare il compositore nato a Cremona nel 1567, possiamo annotare che la proposta è stata sviluppata attraverso una sorta di contrappunto drammaturgico che contemplava intrecciandoli tre piani espressivi: quello più squisitamente musicale, che vedeva impegnato l’Ensemble Arte Musica diretto da Francesco Cera al clavicembalo, collocato nella parte superiore dello spazio scenico a rappresentare in un qualche modo il modello – espressione dell’originale partitura monteverdiana – fonte di ispirazione di questa rappresentazione; uno spazio pantomimico mediano, occupato da due ballerine che in variopinti abiti da uccelli incarnavano, in una essenziale selva stilizzata, una guerra amorosa assieme plasticamente istintiva e rituale; il proscenio, teatro di inseguimenti giocati tra due coppie – una composta di bambini che si rincorrono, l’altra di maturi amanti che alla fine si offono (o si arrendono) nudi alla battaglia amorosa – che apparivano e scomparivano attraversando un fitto muro di fili (o sottili alberi ideali) che divenivano schermo per proiezioni visive di fiere.

Amanti come guerrieri, in sintesi, impegnati in un corteggiamento che si fa battaglia – e tragica, pensando a Tancredi e Clorinda – che qui hanno trovato nel dato musicale un’efficace restituzione grazie all’equilibrio tra impasto vocale e cifra strumentale. Un carattere rimasto un poco astratto rispetto alla dimensione rappresentativa che è parsa svilupparsi più per suggestioni che non per profonda connessione drammaturgica. Alla fine i calorosi applausi del numeroso pubblico hanno salutato tutti gli artisti impegnati, ma a noi è parso che l’archetipo, il modello, sia rimasto un poco distante, ingabbiato tra le pagine dell’ottavo libro dei madrigali “guerrieri et amorosi” del “divino Claudio” (Monteverdi).

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