Macbeth secondo Dusapin
Prima mondiale alla Monnaie di Bruxelles
Un prodotto sicuramente ben confezionato, sia musicalmente che nella messa in scena e per le ottime voci utilizzate, ma che lascia perplessi perché è un Macbeth che dice poco di nuovo. L’intenzione del compositore francese Pascal Dusapin, cinque anni dopo la sua ultima opera Penthesilea creata pure per la Monnaie, è di andare oltre, all’inferno, sotto la superficie degli atti, scavare ancora di più nella psicologia della famosa coppia creata da Shakespeare, ma la musica sembra più creare atmosfere che per quanto raffinate, intense, colte, ricche di citazioni di diverse epoche musicali, restano in superficie e non trasportano veramente in un mondo sotterraneo dove i nostri peggiori istinti vengono alla luce. Piuttosto la partitura sembra esprimere i contesti/destino che causano gli eventi. Il libretto di Frédéric Boyer, in inglese e che suddivide la storia in un prologo e otto capitoli, non aiuta in questo tentativo, tranne qualche verso più riuscito che fa riflettere. Dusapin e Boyer hanno lavorato sin dall’inizio con Thomas Jolly che ne avrebbe curato la regia e alte erano le aspettative nei confronti anche di quest’ultimo che, malgrado ancora giovane, è ormai considerato uno specialista, e uno dei migliori, nel mettere in scena le tragedie di Shakespeare. Ma l’allestimento, per quanto ricco e d’effetto visualmente, sin dal primo sguardo da l’impressione del già visto, con il grande albero scuro i cui rami si intrecciano fittamente e tra cui si muovono tre sorelle-streghe. I rami potrebbero essere i circuiti del nostro cervello e le streghe le scintille tra le sinapsi, oppure il subconscio che interagisce con il razionale, ma sono tentativi d’interpretazione di quel che si vede che non hanno molte conferme. Poetici comunque i fogli che volano e poi anche le armi che si presentano fluttuanti in aria manovrate come marionette. Interessante da un punto di vista scenografico anche il palazzo che si apre in due per poi richiudersi e che interagisce anche con i grandi alberi. Ai piedi dell’albero centrale poi sarà piazzato il letto della coppia, perché è un incubo a quello a cui assistiamo, e la vicenda di potere sembra pendere sempre più verso la narrazione di una vicenda coniugale sfociata in tragedia, anche per il bimbo morto della coppia che, da oggetto solitamente di una sola battuta in scena, in questa nuova versione di Macbeth è invece quasi onnipresente ai genitori. E poi non poteva mancare il pagliaccio beffardo, ospite oramai frequente di tali messe in scene cupe. In contrasto con quest’ultime, i coniugi Macbeth sono invece vestiti candidamente da Sylvette Dequest con vaga, elegante ispirazione scozzese. La prima mondiale della nuova opera ha invece senza dubbio beneficiato della direzione dell’orchestra da parte di un maestro quale Alain Altinoglu, che ha saputo trarre il meglio dalla partitura dandone un’interpretazione trascinante e accentuandone la drammaticità. Eccellenti poi gli interpreti, a partire dalla mezzosoprano ceca Magdalena Kožená che come Lady Macbeth, qui più moglie che sente che il matrimonio sta andando a rotoli che donna assetata di potere, alle prese con un canto impervio che padroneggia con sicurezza; e dal baritono austriaco Georg Nigl che riesce a dare spessore al personaggio salvandolo da quelle caricature d’uomo che spesso sono proposte. Giovani ma già pure interessanti tutte e tre intressanti le streghe: il soprano russo Ekaterina Lekhina, la mezzosoprano russo-norvegese Lilly Jørstad et la mezzosoprano tedesca Christel Loetzsch. Molto bravo il bambino, interpretato nel primo cast da Naomi Tapiola, componente del Coro dei bambini della Monnaie e testimone dell’eccellente lavoro che l’Opera di Bruxelles sta portando avanti con i più giovani. Lavoro, dela durata di un’ora e mezza, realizzato in coproduzione con l’Opéra Comique di Parigi e l’Opéra di Rouen .
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