Lucrezia Borgia: Violenza e veleno
Una Lucrezia Borgia divisiva al Teatro Comunale di Bologna

È una produzione intensa e divisiva quella di Lucrezia Borgia di Donizetti in scena al Teatro Comunale di Bologna. Per il suo allestimento, la regista Silvia Paoli si rifà all’immaginario cameratesco di una milizia squadrista, e propone le scene (a cura di Andrea Belli) in un mattatoio riallestito a quartier generale di Pasoliniana memoria. È una lettura che mira a riabilitare la figura di Lucrezia, dipanando nel corso della narrazione quelle basi utili a comprenderne la vendetta finale, che si configura quindi come un riscatto, una riappropriazione del potere sopra sé stessa, una liberazione (pur parziale) dall’oppressione subita. Per farlo, Paoli esaspera – tramite scene violentissime (e uno stupro subito) – la condizione di vittima traumatizzata di Lucrezia, in un contesto di egemonia maschile che usa la donna, non la comprende, la priva della volontà e dell’identità. Propone visioni esplicite e dure, tanto estremizzate da provocare prevedibili reazioni di repulsione e disagio (quasi ad ogni replica si sono sollevate proteste in sala): ma non è forse uno dei fini del Teatro anche quello di sublimare sulla scena tematiche a impatto sociale dibattuto e controverso? E non sono forse altrettanto rivoltanti gli ineguali, umilianti, svilenti trattamenti subiti dalle donne in tanti e tanti contesti delle loro vite?
L’idea di base è dunque buona, pur minata nella sua completa realizzazione da alcune sbavature: certa confusione nei movimenti delle masse, certi lunghi cambi scena, certe coreografie delle truppe (a cura di Sandhya Nagaraja) che mancano l’obiettivo parodistico debordando nel ridicolo. È poi diseguale il rendimento sul fronte musicale: se conquista Olga Peretyatko nei panni di Lucrezia, una vera diva elegante e magnetica nei bellissimi costumi di Valeria Donata Bettella, che piace nel porgere e nelle agilità (seppur controllate), così come Stefan Popp nei panni del figlio Gennaro, è invece meno apprezzato l’Alfonso I di Mirco Palazzi, così come lo sono in varia misura i comprimari. Non convince infine la direzione a tratti asettica di Yves Abel, che provoca anche qualche scollamento tra le sezioni.
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