L'oratorio protagonista a Purtimiro
La conclusione della terza edizione del festival Purtimiro di Lugo, con Sogno Barocco e Concerto Italiano
Nel profluvio degli oratori creati tra Sei e Settecento a Roma, come in altre città italiane, il confine tra sacro e profano è molto labile, come ha dimostrato il concerto presentato nel terzo e ultimo fine settimana del Festival Purtimiro di Lugo dall’ensemble Il Sogno Barocco diretto da Paolo Perrone.
Se non si sapesse che l’aria "Non sa chi non è amante che cosa sia aspettar" appartiene all’Erode, l’ultimo oratorio di Francesco Gasparini, autore del celebre manuale sulla prassi del basso continuo L’armonico pratico al cimbalo, difficilmente si potrebbe immaginare che nel libretto tali parole provengano dalla bocca di San Giovanni; così come si fatica ad inquadrare recitativi e arie del "Seneca furato ossia La crudeltà di Nerone" nella raccolta intitolata Sei cantate spirituali di Francesco Durante. E ancora la lotta tra Amore Terreno e Amore Celeste nell’oratorio Maddalena ai piedi di Cristo di Antonio Caldara è un esempio della prorompente sensualità barocca che fluisce in musica, e che Filippo Mineccia ha evocato intonando l’aria "Da quale strale", insieme ai titoli già citati e alla virtuosistica aria "Se volgi al ciel turbato", dal Sant’Atanasio di Matteo Bisso. Oltre alle qualità degli strumentisti e dell’impetuoso controtenore, il pregio del concerto era dovuto anche alla alternanza tra le musiche vocali e quelle strumentali, alcune sonate a tre complete o parziali tra le quali spiccavano quelle di Stradella e Caldara, e i brevi raccordi strumentali tra una musica e l’altra che hanno evitato la ripetitiva meccanicità degli applausi a fine brano, favorendo l’ascolto impreziosito dalla buona acustica del piccolo Teatro Rossini.
Il nuovo spazio nel quale si sono svolti i concerti da camera del Festival di Lugo, l’Oratorio Sant’Onofrio, si è rivelato idoneo anche in relazione alla generale affluenza del pubblico, relativamente limitata ma fedele e attenta. Nella sua sala si è svolto il concerto proposto da Cappella Augustana diretta dal clavicembalista Matteo Messori. Le due valenti voci di Elena Cecchi Fedi e di Paola Valentina Molinari si sono rincorse, sovrapposte e di nuovo inseguite in un vortice sonoro barocco generato dalla esecuzioni di alcuni duetti da camera di Steffani, Lotti e Handel mostrando il debito di quest’ultimo verso il primo. In queste vere e proprie miniature, particolarmente apprezzate dalle corti di buona parte d’Europa, si condensa tutto il sapere operistico e la virtuosistica plasticità melodica del canto italiano, e anche con il solo accompagnamento del cembalo, vivace e intenso come nel caso di questo affascinante concerto, i duetti da camera esprimono sinteticamente languori, pene e tormenti d’amore con accenti diversi e alterni, ora giocosi, ora drammatici o patetici.
Nell’Oratorio Sant’Alessio si è svolto anche il dialogo tra le due arpe di Mara Galassi e Flora Papadopoulos con un programma dedicato a musiche di Corelli, Handel, Bach, Weiss e pagine anonime tratte da un manoscritto tedesco, il Musikalische Rüstkammer auf der Harfe (Lipsia 1719) e da una antologia appartenuta al frate polacco Pius Hanke. Utilizzando tre differenti strumenti, un’arpa tedesca a due ordini di corde chiamata Davidharfe dal caratteristico suono stridente provocato dagli arpioni, e un’arpa gallese e una italiana copia del celebre esemplare Barberini, entrambe a tre ordini di corde, il concerto costituito prevalentemente da trascrizioni realizzate dalle due musiciste è terminato con la splendida Sonata in fa maggiore per liuto di Weiss, valorizzata dalla rielaborazione per le due arpe.
Il primo dei due concerti conclusivi che si sono svolti nel Teatro Rossini è stato quello di Enrico Onofri accompagnato dal violoncello di Alessandro Palmieri e dal cembalo di Enrico Duni, che ha prevalentemente esplorato il sottile confine che separa le musiche vocali da quelle strumentali, e l’influenza delle prime sulle seconde, nel corso della progressiva affermazione del violino come strumento solista nel Seicento. Seguendo un ordine cronologico il percorso del programma è partito dall’inizio del secolo scegliendo le prime pagine musicali nelle quali il violino opera passaggi e diminuzioni anche su madrigali, ricercando la propria dimensione idiomatica, fino ad arrivare alle sonate nelle quali lo strumento raggiunse la sua maturità espressiva abbandonando la competizione con il virtuosismo vocale e la sua retorica degli affetti, per trovare la propria esclusiva cantabilità capace di parlare autonomamente: dalla vaghezza del "sonar con ogni sorte d’instrumento" di Virgiliano e Cima, definiti nel testo di presentazione del concerto come "antenati di Corelli" insieme ai due Rognoni, Castello, Uccellini e Pandolfi Mealli, alla complessa tecnica delle sonate di Bonporti e dell’illustre fusignate, con l’elegante e raffinata esecuzione di Onofri e dei componenti dell’Imagimarium Ensemble.
L’appuntamento conclusivo con l’ultimo dei concerti presentati dall’ensemble residente Concerto Italiano si è rivelato particolarmente interessante grazie alla esecuzione di un oratorio in due parti di Alessandro Stradella, Ester liberatrice del popolo ebreo, che si presume sia stato scritto tra 1673 e il 1675, forse proprio in quest’ultimo anno, nel periodo in cui a Roma vennero chiusi i teatri a causa dell’Anno Santo, come viene cautamente ipotizzato nel testo di presentazione dell’opera conservata in un’unica copia manoscritta in un codice della Biblioteca Estense di Modena. Per rispondere adeguatamente alla grande varietà di accenti metrici e musicali, e alla diversa tipologia di arie, duetti, terzetti e concertati, e per sottolineare il carattere drammatico della vicenda biblica narrata dal libretto di Lelio Orsini, Alessandrini ha scelto di raddoppiare il numero dei cantanti, in modo tale da differenziare vocalmente e timbricamente i cinque personaggi protagonisti separandoli dalla voce narrante del Testo e da quello collettivo del popolo hebreo e rendere più chiara la drammaturgia anche attraverso la loro collocazione sul palcoscenico. Grazie alla asciuttezza e al rigore della scelta interpretativa, attenta a rispettare il dettato dell’unica fonte di questo oratorio fatta delle sole parti vocali con il basso continuo, è risaltata tutta la complessità e la profondità di un’opera ricca di infiniti dettagli musicali originali, tesi a creare una straordinaria definizione dei profili dei personaggi della storia della fanciulla che nascose la sua identità per poi rivelarla per salvare la sua gente dalla minaccia di una strage.
La coralità del Popolo hebreo espressa dal contrappunto madrigalistico a tre, quattro e cinque voci, è stata affidata a Barbara Zanichelli, Marina Bartoli Compostella, Andrés Montilla Acurero, e Marco Scavazza, così come il ruolo narrativo del Testo, intonato dal basso Alessandro Ravasio nella prima parte, e dal soprano Barbara Zanichelli nella seconda, come indicato nella fonte manoscritta. Perfettamente adeguati anche i solisti del "melodramma" spirituale, impegnati nell’articolato susseguirsi asimmetrico di arie, recitativi e ariosi, con la consolatoria dolcezza della Speranza Celeste, il soprano Monica Piccinini, l’imperiosa e veemente baldanza del cattivo Aman, il baritono Mauro Borgioni, e la seducente grazia di Ester, il soprano Sonia Tedla, che nella prima parte ha dialogato con il suo tutore Mardocheo, il tenore Valerio Contaldo, e nella seconda con il suo sposo Assuero, il basso Salvo Vitale.
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