L'Opera è un Cantiere Aperto
A Firenze Francesco Micheli e Elio svelano il melodramma
Sono sei puntate di un cantiere - qualche volta con tanto di caschi gialli – perché l'opera è qualcosa che “si fa” in una convivenza unica fra la creazione personale e le circostanze che la determinano. Un cantiere in cui tre generazioni di compositori, da Rossini a Puccini, si passano linguaggi, forme, soluzioni, modificandole e portandole avanti ma senza fratture, come in una bottega di pittori del Rinascimento italiano. Certe cose gli aficionados già le sanno, ma non è inutile ricordarle, e a “Cantiere Opera” Micheli lo ha sempre fatto. Prima di tutto l'opera è oggi, anzi oggi più che mai, parte integrante del “brand Italia”, accanto a arte, cibo e vino. L'opera è uno dei motivi per cui l'italiano resta una delle lingue più studiate del mondo (la quarta dopo inglese, spagnolo e cinese, ed è un trend in crescita), nonostante sia lingua naturale solo per sessanta milioni di persone e sicuramente non sia la lingua degli affari e finanza, o della politica internazionale, insomma una lingua meravigliosamente inutile per gli scopi pratici e utilitari. L'opera è tuttora la forma di spettacolo dal vivo più diffusa al mondo, e una parte largamente maggioritaria in questo ce l'ha, naturalmente, l'opera italiana con i suoi grandi autori. Vero, verissimo, basta consultare le statistiche aggiornate alla stagione 2015 – 2016 di Operabase per trovare conferma.
Ma “Cantiere Opera” è anche altro. Micheli sa bene che oggi ci vuole uno storytelling più o meno per tutto. A maggior ragione per l'opera, per liberarla dalla sua narrazione di genere paludato, nato nelle corti e poi nei teatri per gli ozi delle classi dominanti e approdato ad una certa melomania popolare otto-novecentesca, fra palchetti, velluti, capricci di divi e tanta polvere di cose passate. Ma se polvere è, dice Micheli, è polvere da sparo. Inevitabile rivedere insieme la famosa scena del volantinaggio dal loggione dei patrioti veneziani dopo “Di quella pira”, in “Senso” di Luchino Visconti. Ma in realtà ognuno degli autori presentati ha sparato le sue bordate, ha vissuto e rappresentato cose che continuano a succedere o che somigliano parecchio a ciò che oggi succede. Ecco un Elio-Rossini giovanissimo, perché all'epoca l'opera era il genere che tirava di più e si puntava sui talenti in erba come oggi si fa nell'informatica, eccolo reinventare genialmente nel “Barbiere” l'antichissima trama da commedia dell'amore dei giovani ostacolato dai vecchi barbogi, per poi diventare baby pensionato a soli trentasette anni. Ecco un Bellini che cerca la sua occasione via dalla natìa Catania fra Napoli, Milano e Parigi, come i nostri ventenni e trentenni cervelli in fuga. Ed ecco un bello spunto per intrecciare finzione e realtà: sullo schermo passa la Callas, mentre canta “Casta Diva” e in filmati di repertorio insieme a Onassis, e ci rendiamo conto che Norma e Maria sono accomunate dallo stesso destino, imbattersi in un marpione fedifrago. Ecco il Donizetti bergamasco superlavoratore che riscatta se stesso dalla povertà della famiglia d'origine e del natìo borgo selvaggio, Borgo Canale, ecco la trasfigurazione della pazzia di Lucia nell'immaginario contemporaneo, cantata da un'aliena (o è un robot ?) in un blockbuster fantascientifico, o accostata alla fragile e indimenticabile protagonista delle “Onde del destino” di Lars von Trier. Ecco Verdi, ecco “Traviata”, l'opera più eseguita al mondo, e siccome ci è diventata familiare non ci rendiamo più neanche conto che cosa significasse allora scrivere un'opera tragica ambientata nella contemporaneità, con una prostituta come protagonista. “Sempre libera” diventa inno orgoglioso delle umiliate Drag Queen di “Priscilla” di Stephan Elliott, mentre attraversano il deserto australiano. E andando avanti si infittiscono i corti circuiti, gli accostamenti alla realtà di allora e di oggi, e ne troveremo tanti nella puntata dedicata a Puccini, che in ogni senso è il più vicino a noi. Mimì si racconta a Rodolfo, e scorre veloce il video di un profilo Facebook in perpetua trasformazione, ma la persona vera, quella ragazzina, rimane misteriosa e inafferrabile come un po' lo è anche Mimì. Alla sposa bambina Cio-Cio-San corrispondono le giovani dei paesini calabresi fatte arrivare nei bordelli del Nord Africa, all'inizio del Novecento, col miraggio di un matrimonio . Al cappio pronto per Johnson si affianca un fatto vero e terribile, la pratica dei linciaggi negli Usa (di cui tra l'altro gli immigrati italiani, dopo gli afroamericani, erano le vittime predilette).
E poi Campogrande e il “De Bello Gallico”, ossia una storia scritta dal vincitore che però ha un potente e giovane antagonista che naturalmente è un tenore come Manrico, qui si chiama Vercingetorige, e nella battaglia di Alesia ha perso, ma avrebbe anche potuto vincere. Come altre volte nelle sei puntate (“Va' pensiero” e il coro muto della “Butterfly”, ad esempio), al pubblico viene chiesto di partecipare come coro a qualche frammento di quest'opera ancora in costruzione. Il tutto, evidentemente, è piaciuto molto, e il Niccolini era sempre pieno e festeggiante. Non sappiamo se questo racconto spigliato e originale dell'opera saprà convincere un pubblico nuovo e giovane a entrare nei nostri teatri, ce lo auguriamo. Ma sicuramente funziona per rafforzare il nostro amore di sempre.
Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche
A Roma, prima con i complessi di Santa Cecilia, poi con Vokalensemble Kölner Dom e Concerto Köln
Federico Maria Sardelli e il sopranista Bruno de Sá per un programma molto ben disegnato, fra Sturm und Drang, galanterie e delizie canore, con Mozart, da giovanissimo a autore maturo, come filo conduttore