L’Opera di Roma ospita Salonen e la Philharmonia Orchestra
In programma Bartók e Sibelius: splendida l’orchestra, straordinario il direttore
È iniziata dall’Opera di Roma la tournée italiana della Philharmonia Orchestra, che proseguirà a Lucca e Milano. Sul podio il finlandese Esa-Pekka Salonen, che è stato il direttore principale dell’orchestra londinese per quattordici anni fino al 2021, per poi passare alla San Francisco Symphony, ritornando così in California, dove era già stato prima di Londra come direttore musicale della Los Angeles Philharmonic.
Ovviamente ha svolto anche una brillante carriera nel resto del mondo, ma per l’Italia è passato piuttosto raramente, però parla un buon italiano, essendosi perfezionato con Franco Donatoni e Niccolò Castiglioni nella composizione: si divide infatti tra la direzione d’orchestra e la composizione e si direbbe che proprio la composizione lo coinvolga più che la direzione d’orchestra, a cui si è dedicato – lo afferma egli stesso – principalmente per assicurarsi che le sue composizioni fossero eseguite nel modo da lui voluto. Nonostante ciò è un direttore fantastico. Ed evidentemente la pensano così anche i musicisti della splendida Philharmonia, che hanno mostrato di avere anche oggi totale fiducia e collaborazione con colui che fino a tre anni fa è stato il loro direttore principale.
Il gesto di Salonen, ampio ed energico, attentissimo a scandire chiaramente il tempo e a non mancare un attacco, è indubbiamente un punto di riferimento sicuro per l’orchestra. L’interpretazione del direttore-compositore è precisa e dettagliata, ottiene dall’orchestra un suono pieno ma trasparente, che scandaglia la partitura e conduce l’ascoltatore all’interno della musica, facendo vedere - per così dire - ogni singolo dettaglio, come se avesse sotto gli occhi tutti i pentagrammi, dai flauti in alto fino ai contrabbassi giù in fondo. Questa è una tendenza largamente diffusa nella direzione d’orchestra contemporanea, ma rarissimamente capita che ottenga i risultati di Salonen, che fa sentire tutti gli innumerevoli dettagli che generalmente rimangono nascosti sotto le linee principali ma lascia che restino dettagli, senza venire in primo piano ad alterare le gerarchie e a rendere il pezzo una successione di frammenti.
Il risultato nel Concerto per orchestra di Béla Bartók è splendido, a cominciare del misterioso ‘piano’ degli archi gravi su cui si innestano ‘pianissimo’ i tremoli dei violini con sordina e le scalette dei flauti, come se le idee del compositore cominciassero a sorgere, chiarirsi e svilupparsi nella sua mente e noi potessimo seguirne il processo creativo durante quelle ben cinquanta battute in ‘pianissimo’. L’orchestra è splendida in questo lontano ‘pianissimo’ come nei ‘fortissimo’, che certamente non mancano nella partitura di Bartók. Questi ‘fortissimo‘ non sono però violenti (come nel recente concerto della Chicago Symphony, sempre all’Opera) e non eccedono in decibel, ma sono misurati e luminosi. Scherzosamente si potrebbe dire che questi ‘fortissimo’ sono ben educati e non dimenticano le buone maniere: molto british.
I risultati di quest’approccio analitico di Salonen sono splendidi in Bartók e anche in Sibelius, la cui Sinfonia n. 1 rivela una ricchezza e una complessità di dettagli molto moderna per una partitura del 1898. Sotto le melodie tratte dalla musica popolare finlandese fermentano il cromatismo e la destrutturazione delle forme tradizionali e Salonen lo fa sentire e capire benissimo. È una sorpresa continua e lo si ascolta con grande interesse. Ma si avverte un po’ la mancanza dell’aspetto tardo-romantico delle grandi melodie, ora appassionate, ora struggenti, ora entusiaste, ora dolenti, sempre emozionanti, che sono parte fondamentale ed ineludibile della musica di Sibelius. Ma forse Salonen, che è connazionale di Sibelius, ha sentito ad abundantiam la sua musica fin dall’infanzia e si è saturato di quel suo lato sentimentale, più facile e popolare.
Però ha confermato di amare Sibelius scegliendo il suo brillante Alla marcia da Karelia per uno dei bis. L’altro era la “Tregenda” da Le Villis di Puccini: un’esecuzione spettacolare, fantastica. Il pubblico che gremiva il teatro ha salutato orchestra e direttore con l’entusiasmo che questo concerto meritava.
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