L'Odhecaton racconta l'antico
Napoli: L'associazione Scarlatti festeggia il centenario della fondazione alla Basilica di San Paolo Maggiore
Il filtro selettivo della memoria ricade sull’Associazione Alessandro Scarlatti di Napoli per il centenario (1919-2019) della fondazione, celebrato alla Basilica di San Paolo Maggiore con un concerto, “Musica Dei donum”, dell’Ensemble Odhecaton, diretto da Paolo da Col - mago del dettaglio e di profili spiccati, toccanti, insieme ad un coro di livello e prestigio. Si ha finalmente la sensazione di non perdere nulla di quanto promesso per il centenario, anzi di star andando oltre le aspettative. Le celebrazioni hanno avuto luogo domenica scorsa 7 aprile, con i protagonisti e con il sindaco De Magistris, il Presidente de Divitiis, la direzione artistica Rossi – Lo Iacono - Frasca, e il numeroso staff, con la chiesa piena anche di giovani e appassionati. La musica sacra e antica non è mai di facile ascolto. Anche se cesellata come un gioiello su sezioni caratterizzanti e una certa ritualità, le varie parti chiedono voci dalla tecnica smagliante. Si percepisce inoltre il peso di celebrare con un repertorio polifonico del XVI secolo il nuovo percorso intrapreso dal direttore musicale, la motivazione complessiva di scavare evocazioni, emozioni nelle spigolose armonie e spatolate di colore dei timbri di un antico proiettato sul moderno. Ai primi intrecci a 5 e 2 parti di Jacques Arcadelt - Corona aurea- subito conquistava la compattezza polifonica con l’effervescente naturalezza vocale. E altrettanto Giovanni Pierluigi da Palestrina - in particolare Fratres ego enima 8 parti - ne usciva sperimentato, pieno di eredità da Animuccia fino a Victoria, intrecciato in un tessuto polifonico provocatore, almeno nel mondo delle cappelle romane. Paolo da Col è originale da subito, senza retorica e trionfalismi. Gioca sull'ambivalenza dei temi usati, sospesi tra il fraseggio gregoriano e il cadenzare tonale, come in O vos omnes di Scipione Stella. I controtenori, quasi sinfonici, per spessore ed affondo nel madrigale di Giovanni Gabrieli Lieto godea. Con grandi emissioni, che dipanano impasti soffici e singoli fraseggi morbidissimi, l’Ensemble racconta un mondo rinascimentale a partire dall'eredità del cantus firmus, e la immerge in una modernità energica, dialogante, scattante, mai esile nei contenuti, veloce ma pensata come nei brani in dialetto di Orlando di Lasso. Voci splendide, inscalfibili, perfette sul repertorio e dominatrici sonore del suggestivo spazio della Chiesa, sembravano ideati apposta per le pagine di Carlo Gesualdo da Venosa - Peccantem me quotidie e Ave dulcissima Maria, a quattro secoli di distanza dalla loro creazione. Scavati nella parola con tensione affettiva, e in contrasti che si sprigionano in cadenze sfogate ma centellinate, come in In diademate capitis Aaron di Giovanni Maria Nanino. A tratti più energico, conclude il programma Sento, sent’un rumor di Andrea Gabrieli, tutti sulla soglia tra parlato e cantato, qui il coro - attento alle formule della retorica - incisivo più nella parola che nel timbro, giustamente - un piacere quest'equilibrio di velluto e bravura. Pubblico esaltato. Ed in bis, il trio reinventa Scarlatti ovviamente, in tutte le sue possibili sfumature timbriche.
Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche
A Roma, prima con i complessi di Santa Cecilia, poi con Vokalensemble Kölner Dom e Concerto Köln
Federico Maria Sardelli e il sopranista Bruno de Sá per un programma molto ben disegnato, fra Sturm und Drang, galanterie e delizie canore, con Mozart, da giovanissimo a autore maturo, come filo conduttore