Lo Sperimentale di Spoleto festeggia i novant’anni di Giacomo Manzoni
Rappresentate due opere brevi del compositore milanese: La Legge del 1955 e Gli occhi di Ipazia in prima assoluta
Per festeggiare i novant’anni di Giacomo Manzoni, che nel frattempo è arrivato quasi a novantuno, il Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto ha pensato di portare in scena l’una accanto all’altro due brevi opere del compositore milanese, precisamente la prima e la più recente. Sono La legge del 1955, quando Manzoni aveva ventitré anni e studiava al conservatorio, e Gli occhi di Ipazia, scritta ora che il compositore milanese ha superato i novant’anni ma sembra proprio non aver pagato alcun pegno al tempo trascorso: dunque queste due operine - si può definirle così solamente per la loro brevità e per i pochi esecutori richiesti - appartengono ad epoche diverse e lontane, ma conservano molti elementi in comune.
La Legge, su testo del compositore stesso, ha per argomento la violenta repressione del movimento dei braccianti agricoli dell’Italia meridionale, che chiedevano la distribuzione delle terre dei grandi latifondi. È ambientata in una povera casa contadina, dove due donne, una giovane e una vecchia, lamentano l’estrema povertà in cui vivono, quando entra il marito della giovane per dire che la legge a favore dei mezzadri sarà finalmente approvata! Non è però questa la legge cui si riferisce il titolo, bensì la legge non scritta della sopraffazione del più forte sul più debole, che lascia alla polizia mano libera per sparare sui dimostranti, come – si intuisce – avverrà anche in questo caso.
Nell’Italia del 1955 un’opera del genere era inimmaginabile - o piuttosto poteva immaginarla e realizzarla soltanto il giovane Manzoni - e infatti la rappresentazione inizialmente prevista a Milano fu cancellata. La legge sarebbe stata eseguita - in forma di concerto - mezzo secolo dopo, alla Biennale di Venezia del 2007. In questo lavoro d’esordio è già forte ed esplicito l’impegno etico-politico, che avrebbe caratterizzato la successiva produzione di Manzoni. Colpiscono la concisione e la forza espressiva, che sono le due facce della stessa medaglia. Manzoni stesso mette in rilievo l’influsso che ebbero su questo suo lavoro la Suite lirica di Berg e la Sonata per due pianoforti e percussioni di Bartok, che sono in effetti ben riconoscibili: è comprensibile l’entusiasmo di un giovane studente per due compositori che allora non si studiavano in conservatorio e che gli aprirono un nuovo mondo musicale, ma queste quasi-citazioni vengono assorbite e riutilizzate in un discorso assolutamente coerente e personale, che culmina in un coro fuori scena – in questo caso registrato – di grande potenza espressiva.
La seconda opera era Gli occhi di Ipazia, su un testo di Sonia Arienta, che, come i due autori stessi hanno raccontato, consisteva di quasi trenta pagine, ridotte a sette dal compositore: dunque Manzoni, a distanza di cinquantotto anni e dopo varie opere di dimensioni considerevoli, ritorna allo stesso desiderio di concisione della sua prima opera. E naturalmente non rinuncia all’impegno etico-politico, che è il fil rouge di tutta la sua attività artistica. L’Ipazia del titolo era una matematica, astronoma e filosofa, che visse nel quinto secolo e fu oggetto di una violenta campagna d’odio da parte dei fanatici cristiani, conclusasi con un bestiale linciaggio. Mutatis mutandis, questa vicenda di millecinquecento anni è ancora oggi emblematica dell’oscurantismo, della mentalità antiscientifica, del fanatismo religioso e soprattutto del rifiuto di riconoscere la parità delle donne, che non sono certamente finiti. Personalmente ho avuto qualche difficoltà a capire perché nell’opera non resti quasi traccia di Ipazia e della sua tragica ed emblematica vicenda: infatti la protagonista è una certa Vera, biologa odierna, i cui studi rischiano di danneggiare gli interessi economici di una casa farmaceutica, che aizza una folla di fanatici ad ucciderla. Se voleva essere una critica a Big Pharma, allora si poteva forse trovare un soggetto più attuale e idoneo.
I riferimenti a Berg e Bartok, così chiari in La Legge, sono ovviamente scomparsi ne Gli occhi di Ipazia, e lo stile musicale di Manzoni si è fatto più personale, più sottile e più articolato, eppure anche qui il momento culminante dell’opera è un coro registrato, che narra lo scempio di Vera da parte dei fanatici aizzati da G.I., sigla sotto cui si nasconde il rappresentante dell’industria farmaceutica che manovra tutta la vicenda. Proprio questo misterioso G.I, che si esprime con uno sprechgesang freddo e spietato, è il personaggio più incisivo e drammaticamente connotato di quest’opera di trenta minuti o poco più.
La presenza di Marco Angius sul podio ha garantito un’esecuzione esemplare delle due opere e ai suoi cenni il piccolo ensemble strumentale ha risposto in modo irreprensibile. Manzoni stesso si è dichiarato molto favorevolmente colpito dalla prestazione dei giovani cantanti del Teatro Lirico Sperimentale. Per ragioni di spazio dobbiamo limitarci ad una rapida ma meritatissima citazione: erano Mariapaola Di Carlo, Veronica Aracri e Dario Sogos ne La legge e Alessia Merepeza, Antonia Salzano, Marco Gazzini, Paolo Mascari, più le voci recitanti di Aloisia de Nardis e Davide Peroni ne Gli occhi di Ipazia,
Claudia Sorace del gruppo teatrale Muta Imago firmava le due regie, semplici ma efficaci nel mettere in luce il nucleo delle due opere, cioè il contrasto tra il potere –in ogni sua forma – e chi ne è schiacciato e cerca di lottare per la libertà e la giustizia.
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