L'impressionante volume sonoro della Chicago Symphony diretta da Muti
Teatro alla Scala: il ritorno di Muti con la "sua" orchestra americana
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Per il concerto con la Chicago Synphony alla Scala, Riccardo Muti ha scelto un davvero curioso e sofisticato accostamento (già presentato a Firenze il 20 gennaio): la sinfonia Mathis der Maler di Hindemith e la Terza sinfonia di Prokofiev, che traggono entrambe origine da opere liriche (l'omonima del compositore tedesco e L'angelo di fuoco del russo). Non solo, nelle loro complicate trame narrative le opere hanno in comune la presenza di figure fantasmatiche e forse non a caso il maestro ha evocato un altro revenant come viatico, dirigendo in apertura l'ouverture del wagneriano Fliegende Holländer. Spettri a parte, va dato atto a Muti di aver rinunciato a comodi consensi e proposto due brani sinfonici non di facile ascolto. E di averli diretti come al solito con piglio autorevole e andando dritto al sodo evitando compiacimenti gratuiti, grazie anche a un'orchestra capace di impressionanti volumi di suono, specie negli ottoni e nei legni. Senza mai un'imprecisione o una ritrosia negli attacchi. La Scala non ha un'acustica adatta per un'orchestra sul palco, ma la Chicago Symphony è stata in grado di occupare prepotentemente la sala, fino all'ultima fila. Quanto alla lettura di Muti c'è solo da segnalare una cura meticolosa dei dettagli e un senso unitario della composizione, come esempio è da segnalare lo Scherzo della Terza di Prokofiev, con il turbine demoniaco degli archi che è risultato una lama di ghiaccio e la maestosa ripresa del tema del primo movimento da lasciare senza fiato. Detto ciò, il concerto ha dato l'impressione di un continuo e riuscitissimo sfoggio di bravura, davvero ammirevole, senza tuttavia lasciare molto di più nell'animo dell'ascoltatore. Al termine della serata, con ovazioni dal loggione e lunghissimi applausi, Muti senza farsi troppo pregare ha offerto come bis l'Intermezzo dalla Fedora, in ricordo di Antonino Votto e Gianandrea Gavazzeni che amavano molto l'opera di Giordano, nata a Milano al Teatro Lirico centovent'anni fa e che tornerà alla Scala il prossimo giugno.
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