L'Imperatore e la Morte
Il Festival dei Due Mondi, che aveva avuto il merito di curarne la seconda rappresentazione mondiale nell'ormai lontano 1976, ha riproposto l'opera in un atto composta da Viktor Ullmann nel campo di Terezin.
Recensione
classica
Che in un lager si scrivesse e si eseguisse musica è la dimostrazione inconfutabile che l'arte è un bisogno indispensabile dell'uomo: questo è il significato più attuale, a sessant'anni dalla sua composizione, di "Der Kaiser von Atlantis". Ma è ancora forte anche il significato della favola, che a prima vista è una caricatura di Hitler, ma a uno strato più profondo è una supplica alla morte, affinché ricominci a fare il suo lavoro, interrompendo lo sciopero da lei messo in atto contro l'imperatore, che ha proclamato una guerra totale in cui sia la vita che la morte hanno perso il loro significato. Narrata da chi viveva in un campo di concentramento, dove la morte appariva preferibile alla vita, questa favola ha un significato terribile, tanto più perché è raccontata con mezzi essenziali (l'operina doveva essere rappresentata con quel che si aveva a disposizione a Terezin) ma usati con padronanza e forza.
Si sarebbe disposti a perdonare a Viktor Ullmann anche qualche debolezza ma non ce n'è bisogno, questo è un piccolo capolavoro del ventesimo secolo. Inizialmente può far pensare a Weill ma presto lascia da parte i colori graffianti e aciduli per un tono più patetico (cui partecipano anche le citazioni: "Il Canto della Terra" di Mahler, il "Requiem" di Dvorak, un corale di Bach), tenendosi però sempre al riparo da sbrodolamenti sentimentali.
La presenza di James Conlon, direttore prestigioso e soprattutto convinto sostenitore della riscoperta di Ullmann, garantisce l'ottima resa esecutiva dei quindici strumentisti della Juilliard Orchestra e degli otto protagonisti in palcoscenico, tutti ideali come cantanti e attori per i rispettivi ruoli, a cominciare da Brian Leerhuber (l'imperatore) e Ryan McKinney (la morte). Scena semplicissima (una vecchia cattedra, una panca di legno e un recinto di filo spinato) e regia efficace di tipo espressionista, che alterna rapidi movimenti da automi e lentezze oniriche.
Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche
classica
Jonas di Carissimi e Vanitas di cinque compositori contemporanei hanno chiuso le celebrazioni per i trecentocinquanta anni dalla morte del grande maestro del Seicento
classica
Il primo pianista francese a vincere il Čajkovskij di Mosca conquista il pubblico milanese con un interessante quanto insolito programma.