L’EIias grandioso e solenne di Mendelssohn

Daniele Gatti ha diretto a Roma uno dei capolavori sacri dell’Ottocento

Elias (Foto Musacchio, Ianniello e Pasqualini)
Elias (Foto Musacchio, Ianniello e Pasqualini)
Recensione
classica
Roma, Parco della musica, Sala Santa Cecilia
Elias
09 Febbraio 2023 - 11 Febbraio 2023

In questa stagione concertistica l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia ha dato notevole spazio alla musica sacra di Mendelssohn, un settore del suo catalogo cospicuo per quantità e qualità ma piuttosto trascurato in Italia. A novembre è stata eseguita la Sinfonia n. 2 “Lobgesang”,  il cui ultimo e più ampio movimento è una cantata sacra sul modello di Bach, reinterpretato ovviamente da un musicista dell’Ottocento. Il mese scorso è stata la volta del Salmo 114 op. 51. Sono due composizioni importanti per capire non soltanto lo stile di colui che è stato definito il più classico dei romantici ma anche un aspetto più segreto e intimo della sua personalità, cioè la religiosità divisa tra due fedi che egli cercò di conciliare, il cristianesimo riformato - in cui era stato allevato - e l’ebraismo dei suoi avi.

Il massimo esempio di questo sincretismo religioso è l’oratorio Elias,  il cui libretto cita quasi letteralmente frasi e interi versetti del Primo libro dei Re  dell’Antico testamento, nella traduzione di Martin Lutero. Vi si narra un periodo cruciale della storia degli ebrei, quando la loro religione stessa rischiò di sparire, quindi nel testo si alternano l’afflizione del popolo ebraico, le affermazioni di fede incrollabile, la lotta sanguinosa e feroce contro gli idolatri, la fuga di Elia nel deserto, infine la discesa di Jahvè sulla terra tra il vento, il fuoco e il terremoto per portare il profeta in cielo. Si sbaglierebbe a credere che, poiché si era in pieno romanticismo, Mendelssohn abbia scritto una musica contrastata, drammatica, colorata per descrivere questi avvenimenti. Tantomeno ha mischiato al testo biblico la sensibilità romantica nei confronti dei tormenti interiori, delle incertezze e dei dubbi, che si può ben immaginare abbiano afflitto Elia nella sua impari lotta contro il re Acab e i suoi seguaci, che erano sul punto di sopraffarlo. Per esempio, il drammaticissimo scontro con i sacerdoti di Baal e il loro feroce sterminio sono narrati in modo oggettivo e distaccato, epico più che drammatico. Altro esempio: più che la sofferenza del popolo ebraico per la siccità è la gioia per il ritorno della pioggia ad avere spazio nella musica di Mendelssohn, che chiude l’episodio (comunque tra i più forti e drammatici dell’oratorio) con un grandioso coro di ringraziamento alla divinità, piuttosto impermeabile ad ogni sentimento umano.

Si può restare spiazzati da questa musica del 1846 che può essere definita neobarocca, perché il modello di Mendelssohn qui è chiaramente Haendel. Quindi predominano i cori grandiosi, in cui stile accordale e contrappunto si alternano per creare effetti possenti, solenni, monumentali. Però questi cori - così come le arie - sono sì scultorei e marmorei ma non hanno la varietà d’affetti, la potenza espressiva e la drammaticità di Haendel: d’altronde quanti potrebbero reggere il confronto con gli oratori del “caro sassone”?

Tutto nell’Elias  è bello ma anche piuttosto freddo, con qualche eccezione albo signandalapillo.  Tra quest’ultime figurano recitativi, arie e cori interi ma spiccano soprattutto alcuni brevi momenti, come un paio di introduzioni orchestrali rarefatte, umbratili, tormentate e irresolute, che soltanto un musicista romantico avrebbe potuto scrivere e che normalmente non sono sotto la luce dei riflettori e sarebbero passate inosservate se non fossero state rese stupendamente da Daniele Gatti, che con questo suo concerto a Roma proseguiva idealmente l’integrale delle sinfonie di Mendelssohn realizzato nelle settimane precedenti a Torino con l’Orchestra Nazionale della Rai. Non soltanto queste brevi parentesi più raccolte ma anche tutta la parte più grandiosa dell’Elias  è stata resa ottimamente da Gatti, splendidamente seguito dall’orchestra e dal coro preparato da Piero Monti. Gatti ha esaltato questo tono grandioso con sonorità compatte e imponenti e tempi serrati, senza un attimo di respiro, che pure talvolta sarebbe stato auspicabile. D’altronde è Mendelssohn stesso a non concedere letteralmente un attimo di respiro: raramente all’interno di un ‘numero’ di questa vasta partitura i solisti e il coro hanno anche una sola pausa che indichi un attimo di dubbio, incertezza, riflessione, sofferenza.

Bene i solisti Marlis Peterson (esperta ed autorevole soprano), Michèle Losier (ottima mezzosoprano/contralto), Bernhard Richter (tenore, la cui impostazione vocale un po’ rigida, alla tedesca, non era qui fuori luogo) e Jordan Shanahan (che impersonava Elia, ruolo per cui sarebbe stata preferibile una voce di basso a quella pur pregevole di questo baritono). Bene anche le quattro soliste prese dal coro dell’Accademia - i soprano Sara Fiorentini e Maura Menghini e i contralto Francesca Calò e Margherita Tani - e la voce bianca di Bianca Maria Argan.

La sala era piena sebbene non esaurita (qui si riferisce della replica di sabato 11 febbraio) e il successo è stato totale e calorosissimo.

 

 

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