La tragedia di Don Carlo
Napoli: inaugurazione con il Verdi di Valcuha e Guth
Torna al teatro San Carlo di Napoli il Don Carlo di Giuseppe Verdi nella versione in cinque atti, forse la più somigliante al lavoro di Schiller, e 21 anni dopo la sua ultima rappresentazione. Il capolavoro verdiano, avrebbe dovuto inaugurare la Stagione 2022-2023 del Teatro sabato 26 novembre, rinviata di qualche giorno in segno di lutto per la tragedia ischitana, con un' elegante regia di Claus Guth e la sua folta squadra: per le scene Etienne Pluss, i costumi Petra Reinhardt, luci di Olaf Freese, i video di Roland Horvath con la drammaturgia di Yvonne Gebauer.
Non ci sono forzature nel taglio registico – se non per l’aggiunta di un attore che interagisce e dipana i rapporti tra i personaggi (una volta è cupido, un’altra la sposa e così via), alla Pippo Del Bono ma meno filosofico, poi monastero nel primo atto, lo studio di Filippo II, giardini metaforici con danza dei veli, ma il tutto sembra avere una connotazione geografica e storica precisa. Le luci, di Olaf Freese, prevalentemente oscure, sono da interrelazione tra le scene - natura, paesaggio, metafora, anima. L'atmosfera è sempre sinistra e pericolosa, in particolare nella scena con il grande inquisitore Alexander Tsymbalyuk, ma ovunque alte pareti nere con griglie dalle quali far penetrare occasionalmente la luce e i colori, perfino nella scena del chiostro. Il senso di oppressione e prigionia non viene mai valicato, il ritmo dei chiaroscuri dominanti non è mai spezzato.
Gesto assolutamente sobrio di Juraj Valčuha – applausi per lui - ma sempre dispensato con esatto controllo sia in buca che alle voci, il direttore domina il Don Carlo con perizia intelligente all’inizio, migliora con sonorità caratterizzante, pregnante verso la fine. L'interpretazione di Valčuha disegna una mappa soprattutto di interni, entro la quale il suono dell'orchestra affiora, lievita. Timbro caldo, con rintocchi dei corni, fino a grande liricità nel duetto tra Don Carlo e Rodrigo. Quasi sempre applausi a scena aperta. Emozionanti i momenti con coro massiccio e i potenti sipari finali degli atti, che Verdi cesella, intrecciati con le voci come pagine riflessive dell'individuo. Interpretata con totale immedesimazione da Ailyn Perez, una fenomenale Elisabetta di Valois, pragmatica più che sensuale in un primo atto spedito, come si richiede, illusione del sogno di libertà. Anche la toccante principessa Eboli Elīna Garanča, ideale nello spirito della tragedia, ma soprattutto di intonazione e fraseggio cullanti come nella danza dei veli, rappresenta per il re ma anche per se stessa il dramma d'una esistenza senza amore. Filippo II, Michele Pertusi, canta bene subito severo e ben deciso a raddrizzare i sogni del giovane Carlo. Solitamente lo vediamo così con contrasti inconciliabili nell'anima e pennellate antieroiche tipicamente verdiane. Matthew Polenzani, Carlo, meno perfetto nella voce ma sempre severo nel carattere a ribadire il fondamento della tragedia padre figlio e la stretta prigione della ragion di stato. Si vede il grande lavoro fisico sulla fragilità del personaggio. Rodrigo è un grande Ludovic Tézier.
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