La straniante attualità di Mahagonny
A Parma in scena per la prima volta Aufstieg und Fall der Stadt Mahagonny in un efficace allestimento con la regia di Brockhaus e la direzione di Franklin
Ottimo debutto per il nuovo allestimento di Aufstieg und Fall der Stadt Mahagonny di Kurt Weill e Bertolt Brecht, proposto dal Teatro Regio di Parma in chiusura della stagione lirica e realizzato in coproduzione con Fondazione I Teatri di Reggio Emilia. Ideato e inizialmente previsto nell’ambito di Parma Capitale Italiana della Cultura 2020-2021, poi sospeso a causa della pandemia, questo spettacolo è finalmente approdato sul palcoscenico del teatro parmigiano – che accoglie questo titolo per la prima volta in assoluto – confermando il valore artistico e, se vogliamo, simbolico del capolavoro ideato più di novant’anni fa da Weill e Brecht.
Di fronte alle circa tre ore di un teatro musicale plasmato attraverso la più che ispirata unione tra l’affilata critica sociale di Brecht da un lato e la trascinante miscela musicale di Weill dall’altro, uno degli aspetti che più ci ha colpiti è stata la straniante attualità di quest’opera andata in scena a Lipsia nel marzo del 1930. Come al cospetto di un ideale specchio del tempo, la rappresentazione ci ha restituito l’immagine plastica della decadenza di una società dai valori corrotti, quasi in attesa di una fine imminente e inevitabile.
Un dato che, se in qualche modo era naturalmente atteso visto il noto segno drammaturgico che caratterizza questo lavoro, è stato valorizzato e ravvivato nel suo significato dalla lettura che ne ha restituito la visione registica di Henning Brockhaus, coadiuvata dalla palese affinità di intenti espressa dalle scene di Margherita Palli, dalle luci di Pasquale Mari, dai costumi di Giancarlo Colis, dagli inserti video di Mario Spinaci e dalle coreografie più che funzionali di Valentina Escobar.
Immersa in un’atmosfera coerente con l’epoca di composizione dell’opera ma la cui arida e rugginosa decadenza poteva anche rievocare epoche attuali o postmoderne, l’azione drammaturgica si è quindi dispiegata lungo i tre atti nei quali, sulla scorta di un’improbabile vicenda che lega tre fuorilegge fuggiaschi che fondano una nuova città dell’oro – o meglio “città-trappola” – in una sorta di corrotto selvaggio west da cabaret, si snodano le vicissitudini di una società che si raggruma attorno a valori squallidi e lascivi, prendendo corpo su un palcoscenico fitto di riferimenti e, al tempo stesso, saldamente connesso con il passo narrativo.
Un carattere che ha permesso ai cantanti impegnati in occasione della “prima” del 26 aprile – alcuni dei quali chiamati all’ultimo momento a sostituire colleghi indisposti come nel caso di Nadja Mchantaf, un’ottima Jenny Hill, Mathias Frey nei panni di Jack O’Brien e Tobby Higgins, e Simon Schnorr nel ruolo di Bill – di restituire i loro personaggi al meglio delle condizioni. Così uno dei numeri più celebri come “Alabama Song” – tratta e rimodellata per la forma operistica dallo stesso Weill a partire dal Songspiel di tre anni prima – conferma la sua funzione di perno catalizzatore della struttura narrativa, emerso nelle sue tre riprese con quel valore evocativo che aveva catturato anche il gruppo rock The Doors che hanno compreso questo brano nell’omonimo album del 1967.
Completavano il cast Alisa Kolosova, protagonista di un efficace debutto nel ruolo di Leokadja Begbick, oltre ai bravi Chris Merritt (Fatty), Zoltan Nagy (Trinity Moses), Tobias Hächler, anch’esso protagonista di un buon debutto nel ruolo di Jimmy Mahoney, Jerzy Butryn (Joe), oltre a Roxana Herrera, Elizabeth Hertzberg, Yuliia Tkachenko, Cecilia Bernini, Kamelia Kader, Mariangela Marini (sei ragazze di Mahagonny) e Filippo Lanzi nel ruolo del narratore.
Efficace anche la lettura di Christopher Franklin che ha diretto l’opera per la prima volta gestendo con asciutto dinamismo le variegate transizioni stilistiche che Weill innesta nella sua partitura, passando dalle marcette oblique al fugato che descrive l’uragano e arrivando al perentorio finale con passo solido alla guida dell’Orchestra dell’Emilia-Romagna “Arturo Toscanini” e del Coro del Teatro Regio di Parma, preparato da Martino Faggiani.
Alla fine bel successo per tutti gli artisti impegnati da parte di un pubblico che, in occasione della "prima", purtroppo non esauriva il teatro.
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