La Salome pop-up di Py
L’opera di Richard Strauss all'Opéra du Rhin di Strasburgo
“Ich sage euch, es weht ein Wind. Und in der Luft höre ich etwas wie das Rauschen von mächtigen Flügeln ... Hört ihr es nicht?” (Vi dico che c'è vento. E nell'aria odo qualcosa, come il sibilo di ali possenti ... Voi non l'udite?).
È un vento che solo Erode percepisce sulla scena ma che travolge il pubblico in sala con un sorprendente cambio di scena. Sì, perché Pierre-André Weitz ha costruito la scena per la Salome vista a Strasburgo come un colossale libro pop-up con le pagine grandi come il boccascena. Mondi fantasmagorici prendono forma quando ogni pagina cade sulla precedente e sposta l’aria, proiettando oggetti appena palpabili in sala e rompendo per un istante l’illusione della quarta parete. È lo stratagemma astutamente teatrale che l’illusionista Olivier Py usa con grande profusione di colpi di scena per questa sua Salome, che riempie gli occhi con immagini a effetto e la testa con gran sfoggio di citazioni, ma che imbroglia i fili narrativi fino a confondere. Chi è la sua Salome? È una Lulu, femme fatale indifferente degli uomini che per lei si uccidono. È anche un’Eva tentatrice innocente nel rigoglioso giardino dell’Eden (la prima pagina del libro). È la lasciva soubrette che danza con sette prestanti boys (i sette “velini”) nella navata di una chiesa invasa di vapori sulfurei. È anche la donna perseguitata dal fantasma della madre, come dice l’abito che indossa, lo stesso della madre, quando chiede caparbiamente la testa di Jochanaan al lascivo patrigno. Ed è anche amante disperata che nel finale, come Tosca, si lancia nel vuoto dall’alto della libro-scena chiuso mentre nel cielo compare un nietzschiano “Gott ist tot” fatto di stelle. Anzitutto fedele alla sua estetica, Olivier Py fa di Salome un erudito varieté che ostenta un immaginario sfacciatamente kitsch e a tratti osceno, dunque non così lontano dalla Salome di Wilde.
Tanto Olivier Py è esuberante, quanto Costantin Trinks è misurato nella fossa alla guida dell’Orchestre philharmonique de Strasbourg, corretta nel complesso. Manca però all’appello il travolgente oceano sonoro e la conturbante sensualità orchestrale del primo Strauss, ma ne guadagna la chiarezza della parola scenica, particolarmente curata in tutti i numerosi interpreti. La protagonista Helena Juntunen garantisce soprattutto una buona tenuta vocale alla sua Salome ma non supera la soglia dell’emozione, mentre Robert Bork è uno Jochanaan piuttosto debole. Molto meglio fanno Wolfgang Ablinger-Sperrhacke con il suo Erode corposo e ben caratterizzato sul piano scenico e Susan Maclean con la sua incisiva Herodias. Fra gli altri, si fanno notare l’elegante Narraboth di Julien Behr e il paggio di Erodiade di Yael Ranaan Vandor, che disegna efficacemente l’implicita omofilia del personaggio. Sala gremita, caldi applausi.
Note: Nuova produzione dell’Opéra national du Rhin. Date rappresentazioni all’Opéra di Strasburgo: 10, 13, 16, 19 e 22 marzo 2017. Alla Filature di Mulhouse: 31 marzo e 2 aprile 2017.
Interpreti: Helena Juntunen (Salome), Wolfgang Ablinger-Sperrhacke (Herodes), Susan Maclean (Herodias), Robert Bork (Jochanaan), Julien Behr (Narraboth), Yael Raanan Vandor (Un paggio di Herodias), Ugo Rabec (1° nazareno), Emmanuel Franco (2° nazareno), Andreas Jaeggi (1° giudeo), Mark Van Arsdale (2° giudeo), Peter Kirk (3° giudeo), Diego Godoy (4° giudeo), Nathanaël Tavernier (5° giudeo), Jean-Gabriel Saint-Martin (1° soldato), Sévag Tachdjian (2° soldato), Georgios Papadimitriou (Un cappadoce), Francesca Sorteni (Una schiava), Charlotte Dambach, Clément Debras, Andreas Grimaldier, Régis Kiefer, Jean-François Charles Martin, Ivanka Moizan, Armando Neves Dos Santos, Laura Ruiz-Tamayo (danzatori)
Regia: Olivier Py
Scene: Pierre-André Weitz
Costumi: Pierre-André Weitz
Orchestra: Orchestre philharmonique de Strasbourg
Direttore: Constantin Trinks
Luci: Bertrand Killy
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