La malinconia di Falstaff

L'ultima opera di Verdi al Teatro dell'Aquila di Fermo

Falstaff (Foto Luigi Angelucci)
Falstaff (Foto Luigi Angelucci)
Recensione
classica
Teatro dell’Aquila di Fermo
Falstaff
23 Febbraio 2019

Ultimo titolo operistico della Stagione della Fondazione Rete Lirica delle Marche, Falstaff al Teatro dell’Aquila di Fermo ha incontrato un pubblico folto e curioso, anche se non troppo generoso negli applausi. L’opera verdiana ha rappresentato per la Rete Lirica, che associa in  circuito virtuoso tre tra i più bei teatri di lirica ordinaria marchigiani, quelli di Fano, Ascoli Piceno e Fermo,  la prima coproduzione nazionale, realizzata  con il circuito di OperaLombardia e il Teatro Marrucino di Chieti. 

Per questo allestimento Luciano Messi, direttore della Fondazione, e Alessio Vlad, direttore artistico, hanno scelto un cast vocale di giovani interpreti: Paolo Ingrasciotta (Ford), Matteo Roma (Fenton), Ugo Tarquini (Dr. Cajus), Simone Lollobattista (Bardolfo), Pietro Toscano (Pistola), Sarah Tisba (Mrs Alice Ford), Maria Laura Iacobellis (Nannetta), Daniela Innamorati (Mrs Quickly) e Giuseppina Piunti (Mrs Meg Page). Misha Kiria, bella voce baritonale e notevole presenza scenica, ha interpretato il protagonista coniugando qualità vocali e di recitazione. Accanto a lui è emersa per vivacità interpretativa Sarah Tisba come pure il tenore Matteo Roma, la cui finezza e gusto musicale si sono evidenziati specialmente in Dal labbro il canto estasiato vola. Unico neo sul piano musicale le occasionali mancanze di sincronia tra orchestra e ensembles vocali, pur riallineati prontamente dal direttore, Francesco Cilluffo, che ha diretto con  gestualità molto marcata e attenta ai particolari l’Orchestra Sinfonica Rossini e il palcoscenico. 

Sul piano scenografico molta freschezza, colori chiari e luce, con le scene lineari e senza tanti orpelli di Emanuele Sinisi, i cui cambi tuttavia hanno creato più di una volta interruzioni eccessivamente lunghe. La regia di Roberto Catalano ha ambientato la vicenda nei primi anni ’70, con Falstaff trasandato sessantottino dai modi grossolani fan dei Rolling Stones e le signore, invece, eleganti borghesi che chiacchierano in una spa, mentre gli uomini giocano a tennis. Raffinati i costumi  disegnati da Ilaria Ariemme, in particolare quelli delle fate. Nella commedia una vena di malinconia: nella scena iniziale incombe la vecchiaia di Falstaff, che respira a fatica, morente, disteso sullo stesso letto in cui  si ritroverà, in bilico sopra un mucchio di giocattoli rotti,  dopo essere stato gettato nel fossato.   Un trenino passa: ancora un’avventura, ancora un gioco, una burla: e la vita continua.                  

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche