La maga Circe e Stradella: un connubio riuscito
Una “operetta” del Seicento portata in tournée da Andrea De Carlo
Nel dicembre del 1667 Leopoldo de’ Medici fu elevato alla porpora cardinalizia e gli Aldobrandini, una famiglia principesca romana ma come i Medici di origine mercantesche e fiorentine, vollero celebrare il neoporporato con una “operetta” – le composizioni di questo tipo venivano più spesso definite serenate - e si rivolsero ad un giovane musicista di ventinove anni, che già aveva dato numerose prove del suo genio, Alessandro Stradella. Ma a questo punto ci s’imbatte in un piccolo enigma musicologico: sullo stesso libretto (cambia soltanto il testo di un’aria) Stradella compose due Circe con musica completamente diversa. Perché? Non si sa, ma la spiegazione più verosimile è che la prima versione sia stata rifiutata dal committente. In questo caso si è ascoltata la versione che fu effettivamente eseguita il 16 maggio 1668 nella splendida villa Aldobrandini di Frascati, verosimilmente nello spettacolare ninfeo.
Il libretto è di Giovanni Filippo Apolloni, che collaborò con i maggiori compositori dell’epoca e in questo caso verseggiò con manierata eleganza una storia piuttosto insensata. Questa la trama: Circe riemerge dai Campi Elisi per cercare la tomba del figlio Teogono, ma viene distratta dalla vista di una luce brillante; Algido – personificazione del fiume di Frascati - le spiega che è la presenza di un Medici ad emanare tale luce e, mentre i due parlano, Zefiro echeggia le loro parole; i tre cantano prima a turno e poi tutti insieme gli elogi del nuovo cardinale, mentre – secondo testimonianze dell’epoca - offrivano preziosi doni all’ospite.
Valeva la pena di riassumere la trama, per capire che non dava alcuna possibilità a Stradella di far valere la sua capacità d’imprimere straordinaria e sintetica carica drammatica alla musica. Nei primi minuti – in tutto sono circa quaranta – di quest’operetta se la cava con ottimo mestiere, ma presto, a cominciare dagli interventi in eco di Zefiro, trova il modo di sfoggiare un altro suo dono che spesso viene sottovalutato, cioè la melodia elegante e sensuale, che sboccia naturalmente all’interno di recitativi molto plastici, ma spesso si espande anche in vere e proprie arie e talvolta in duetti e terzetti. In particolare tutta la parte finale, con la successione delle arie di Algido, Zefiro e Circe, coronate da un terzetto, ha un potente fascino melodico.
Gli interpreti – tre cantanti e nove strumentisti – erano quelli dello Stradella Y-Project, nato nel 2011 in seno al conservatorio dell’Aquila per formare all’esecuzione della musica barocca i giovani musicisti provenienti dall’Italia e dall’estero. Dirigeva Andrea De Carlo, fondatore del progetto e principale artefice del “crescendo” della riscoperta di Stradella di questi ultimi anni. Il difficile non stava ovviamente nel dirigere un così piccolo gruppo, che potrebbe perfino fare a meno di un direttore, come all’epoca, ma nell’imprimere lo stile, il suono, i colori, l’espressione giusti all’esecuzione dei giovani interpreti: in questo De Carlo è una garanzia assoluta, grazie alla sua profonda conoscenza e alla sua passione per Stradella. E il risultato lo conferma.
Tra i cantanti ha particolarmente colpito Federico Fiorio, che interpretava Zefiro: lo si era già ascoltato nell’Empio Punito di Melani a Pisa e si possono confermare i tre aggettivi usati in quell’occasione per la suavoce:pura, limpida, dolce. Anzi, ora che lo si è ascoltato in una parte più lunga e impegnativa, si possono ripetere quegli stessi tre aggettivi al superlativo. Rarissimamente, per non dire mai, era capitato di ascoltare un uomo dalla voce di soprano così totalmente esente da suoni stimbrati o nasali o aspri o sforzati. E in più è espressivo e comunicativo, senza il manierismo, la leziosità e l’autocompiacimento di alcuni suoi colleghi barocchisti. Siccome nessuno è perfetto, il volume lascia a desiderare, ma nel ben più grande teatro pisano non si era avuta questa sensazione, che forse ora è causata dall’acustica del Teatro Torlonia, un piccolo teatrino di corte ma con un palcoscenico molto alto e profondo, che assorbe le voci, mentre viceversa gli strumenti posti all’altezza della platea risultano molto sonori. Bene il basso Yuri Miscante Guerra (Algido dalla voce ben emessa e pienamente controllata. Bene anche Mayan Rachel Goldenfeld, che però dovrebbe curare meglio la dizione italiana e apparire un po’ più coinvolta in quel che canta.
In una scenografia composta soltanto da alcuni parallelepipedi bianchi usati come sedili e pedane, il regista Fabiano Pietrosanti ha cercato di animare l’azione con due danzatori, non indispensabili. Molto ben riuscita invece l’idea d’infondere a questo testo adulatorio un filo d’ironia, che diventa feroce satira quando il festeggiato si presenta a ricevere gli omaggi trasformato in animale, come gli eroi che cadevano nella rete della maga Circe: ha la testa di cavallo, ma sotto indossa dei boxer e delle mezze calzette.
Poiché con le attuali restrizioni il piccolo teatro non poteva accogliere che poche decine di persone, l’operetta è stata replicata cinque volte in tre giorni, ogni volta davanti a pochi spettatori ma felici e plaudenti.
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