La cupa girandola di Don Giovanni
Una scena rotante per Mozart alla Fenice di Venezia
Recensione
classica
Si conferma regista attento alle "rotazioni" dei destini, Damiano Michieletto, nuovamente alla Fenice dopo il controverso allestimento del Roméo et Juliette. Se allora le vicende si muovevano attorno a un grande giradischi, in questo Don Giovanni è l’intero impianto scenico a ruotare, in un incessante e vagamente labirintico alternarsi di interni, una giostra da cui né il protagonista né le sue "vittime" possono scendere, condannati a un destino di infelicità.
L’intuizione di Michieletto e dello scenografo Paolo Fantin è buona, certamente funzionale a una lettura dell’opera mozartiana che nulla concede all’aspetto giocoso e che invece stabilisce da subito un angosciante movimento nel quale ben si percepisce non solo la meccanicità dell’azione insoddisfatta di Don Giovanni, ma anche la condizione di incertezza e precarietà dei sentimenti degli altri protagonisti, su tutti Donna Anna e Donna Elvira. In questo senso può essere letta anche la scelta di fare muovere la scena durante alcune arie, rompendo così la loro tradizionale autonomia/chiusura formale.
Saltata la prima per lo sciopero contro il decreto sulle Fondazioni Liriche varato dal Governo, è toccato alla seconda compagnia di canto far "debuttare" questo nuovo Don Giovanni: prestazione senza particolari ombre, ma anche senza troppe luci, complice anche la direzione di Antonello Manacorda, non sempre bilanciatissima tra palco e buca. Più che Don Giovanni ci è sembrato efficace il Leporello di Simone Del Savio, figura che lo stesso regista ha dichiarato di tenere in grande considerazione, in quanto "depositario" da subito della ineluttabile natura del suo padrone. Dalla platea applausi calorosi, ma non convintissimi: forse è mancata un po’ di brillantezza musicale, ma la cupa girandola deve fare il suo giro…
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