La crisi climatica all’opera
Tematiche ecologiste e di inclusione sociale nel nuovo allestimento dell’oratorio Belshazzar di Handel a Vienna
Un futuro distopico, schiavi controllati da collari killer, un leader che fa abuso di potere, ma soprattutto un mondo in cui è finito il bene più prezioso: l’acqua. O meglio, è tutta di Belshazzar (Robert Murray), leader che abusa del suo potere, un po’ folle, un po’ incestuoso, che l’ha privatizzata e resa un bene di lusso. La madre Nitocris, una magnetica Jeanine De Bique, capisce che è il caso di fermarlo, l’amante di lei, nonché biotecnologa, Daniela (il profeta Daniel nel libretto di Charles Jennens, qui interpretata da Eva Zaïcik) le sta al fianco e la supporta nel difficile compito, mentre rivoluzionari assetati (e guidati da Cyrus – Vivica Genaux – e Gobrias – Michel Nagl) lo destituiscono: la condanna è di “ecocidio”. E così popoli salvati ed ex cortigiani si alleano per la creazione di un nuovo futuro ecologista e rispettoso delle risorse. L’oratorio Belshazzar di Georg Friedrich Handel, nelle mani della regista Marie-Eve Signeyrole e nella bacchetta di Christina Pluhar (in testa alla “sua” Arpeggiata) diventa uno spettacolo totalmente diverso dall’originale (tanti i tagli, per non parlare delle modifiche alle dinamiche e all’orchestrazione), e può suscitare pareri contrastanti. Tuttavia se un esperimento è, lo si può ritenere un esperimento fatto con mezzi di ottima qualità. Innegabilmente, l’allestimento ha un certo allure: tratta temi “caldi”, come la necessità di rappresentare le minoranze in scena (come la disabilità: uno dei personaggi è ipovedente). Inoltre il linguaggio delle riprese cinematografiche che proiettano i volti degli interpreti (veicolati dall’escamotage drammaturgico della “Royal Tv”, quasi un reality) avvicinano immensamente gli interpreti al pubblico, permettono di seguire ogni fremito delle espressioni dei volti, e accelerano vertiginosamente il ritmo narrativo, sovrapponendo una, due, a volte anche tre controscene. In questa sovrabbondanza di stimoli, la musica handeliana a tratti rischia di fare da tappezzeria, ciononostante risultano ben a fuoco tutti i solisti e il coro (Arnold Schoenberg Chor). Per quanto inizialmente sia straniante l’amplificazione, e crudissime e sanguinolente alcune scene (amplificate dalla ripresa live), a spettacolo finito si rimane turbati e pieni di suggestioni. E se il teatro di successo è anche quello che non suscita indifferenza, questo Belshazzar lo ha ottenuto.
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