Kirill Petrenko è tornato!
Mendelssohn, Brahms e Debussy, autore non molto frequente nei suoi programmi, in programma nel concerto all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Per il terzo anno consecutivo Kirill Petrenko è tornato a Roma e vi tornerà ancora tra un mese, questa volta con i suoi Berliner Philharmoniker: speriamo che abbia imparato bene la strada!
Il concerto iniziava con Calma di mare e viaggio felice di Felix Mendelssohn. La prima parte di quest’ouverture da concerto ispirata a due poesie di Goethe era presa da Petrenko ad un tempo estremamente lento, più lento di quel che l’indicazione dell’autore, Adagio, lascerebbe supporre. Molto adagio dunque e un pianissimo che è appena un sussurro. Mentre una parte dell’orchestra accenna un movimento leggermente ondeggiante, l’altra parte tiene fisse le stesse note, con armonie che preludono a Wagner: è la bonaccia, l’aria pressoché immobile sospesa sulle acque piatte, stagnanti. Petrenko coglie la modernità insospettata nascosta in questi pochi minuti di musica, in cui il descrittivismo della musica a programma non trova alimento, perché non vi è nulla da descrivere o piuttosto viene descritto il nulla, l’immobilità totale e angosciosa, la “mortale e terribile calma”, come dicono i primi versi di Goethe. Dunque non descrittivismo ma piuttosto una lontana ma chiara anticipazione dell’impressionismo. Il descrittivismo entra in scena nella seconda parte, il Viaggio felice, con il soffiare dei venti e lo spumeggiare delle onde che configurano un quadro romantico di mare in tempesta, dipinto da Mendelssohn benissimo ma con mezzi tradizionali.
Non crediamo proprio che sia un caso che, dopo questo brano di Mendelssohn in cui è riuscito a scoprire un quid d’impressionismo, Petrenko abbia deciso di chiudere il concerto con La mer di Claude Debussy. Ma non ne ha dato un’interpretazione “impressionista”, nel senso che non ricercava raffinate estenuatezze timbriche fin de siècle ma un modernismo già novecentesco: in fin dei conti siamo nel 1905. Dunque niente colori sfumati e flou ma una tavolozza dai mille colori, sempre cangianti e nitidi, netti, solari. Soprattutto solari. Altre interpretazioni avevano finito per convincere che il mare di questo brano fosse avvolto della nebbia, invece quello di Petrenko è un mare dipinto in una giornata sicuramente luminosa e limpidissima. Una tale nitidezza fa risaltare l’inesauribile ricchezza di invenzioni non solo timbriche ma melodiche, ritmiche e armoniche di questa partitura: Petrenko le illumina tutte, una per una, e La mer appare come un affresco che torni a risplendere in tutti i suoi colori dopo un perfetto restauro che lo ha ripulito dalla polvere e dal fumo depositatisi negli anni.
Al centro del programma stava il Concerto n. 2 di Johannes Brahms, affidato alle dita di Boris Giltburg. Dita precise e di eccezionale forza. Solitamente il problema in questo Concerto è che l’orchestra rischia di coprire il pianoforte, ma questa volta in più d’un momento è successo il contrario. Mai sentito niente del genere! Però il trentasettenne pianista russo-israeliano non ha molte altre frecce al suo arco. La sua è un’esecuzione sempre molto muscolare, monocroma e monotona, povera di colori, di fraseggio e di sfumature dinamiche. Eppure, volendo, sa anche suonare piano, e lo fa talvolta, quando è proprio costretto dalle indicazioni di Brahms, ma anche allora il suono è senz’anima. A rimediare ci pensa Petrenko, per la parte che gli compete, dirigendo molto bene l’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia. Ci pensano anche le prime parti dell’orchestra, ma possono essere soltanto brevi momenti: le cinque battute iniziali del primo movimento col corno di Alessio Allegrini in duo col pianoforte e l’ultima sezione dell’Andante, quando il pianoforte e il violoncello di Luigi Piovano si uniscono nella ripresa della meravigliosa melodia che aveva aperto il movimento.
Il successo non è unanime. Parte del pubblico applaude tiepidamente, gli altri, impressionati dalla sicurezza e dalla potenza di Giltburg, sono perfino entusiasti e ottengono un bis: un Ètude tableau di Rachmaninoff, autore certamente più consono di Brahms a questo pianista.
Ma gli applausi unanimi, convinti e calorosi arrivano alla fine della serata, dopo La mer: Petrenko è richiamato moltissime volte sul palco, fa alzare una alla volta le prime parti, le singole sezioni e l’intera orchestra (che lo applaude a sua volta), sorride felice e, particolare minimo ma indicativo del suo carattere schivo e modesto, diventa rosso in faccia come un bambino timido.
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