Il ritorno di Ulisse ad Aix
Recensione
classica
Dopo il suo primo allestimento nell'edizione del 2000, "Il ritorno di Ulisse in patria" di William Christie e Les Arts Florissants è stato ripresentato con rinnovato successo al Festival di Aix-en-Provence, nel Théâtre du Jeu de Paume, esempio di teatro all'italiana (ricostruito e riaperto nel 2000) e piccolo gioiello di acustica. Lo scenografo Anthony Ward ha trasformato la reggia di Itaca in uno spazio onirico spoglio, una scena senza fondali, senza sipario: trame di fili calate dall'alto, come una immensa tela di Penelope, due muri ai lati, un po' di sabbia, qualche anfora ammassata sul fondo. E il regista Adrian Noble ha trovato una chiave teatralissima, evitando ogni ristagno dell'azione, rendendo esplicito, tangibile lo stretto rapporto tra il mondo degli dei e quello degli uomini (nel momento della sfida lanciata ai Proci, Minerva mimava le parole di Penelope, come mettendogliele in bocca; e sempre Minerva, nella scena della strage, trasportava le frecce dall'arco di Ulisse ai corpi delle vittime), sfruttando molto bene la disposizione di personaggi sulla scena (ad esempio nel progressivo passaggio dal fondo al primo piano, dalla penombra alla luce), movimentando l'opera con pochissimi mezzi (bellissima l'immagine della tempesta nel primo atto, con i Feaci che agitavano una enorme vela bianca; l'arrivo di Minerva e Telemaco, all'inizio del secondo atto, che cantavano sospesi su un trapezio e sembravano volare sullo sfondo di un grande telo fluttuante; la baldanza dei Proci accompagnata da uno spassoso lancio di cuscini). Tutti i personaggi, già connotati nella scrittura vocale da stili diversi corrispondenti ai diversi "ranghi sociali" (dalle melodie orecchiabili e strofiche dei pastori allo stile melismatico degli dei), erano magnificamente caratterizzati anche sulla scena. Marijana Mijanovic era una Penolope longilinea, magrissima, dal fascino androgino, mezzosoprano dalla voce assai duttile, con un registro grave molto sonoro: il suo sguardo dolente e severo corrispondeva perfettamente al suo lancinante recitar cantando, e alla fine si illuminava, si trasfigurava in maniera assolutamente emozionante, nel momento del riconoscimento di Ulisse, anticipando il suo sfogo melodico e il tenero abbraccio con lo sposo. La robustezza fisica e vocale del tenore Kresimir Spicer (capace però di commoventi mezzevoci), il suo timbro insieme dolce e virile, davano ad Ulisse una caratterizzazione autenticamente eroica, che lo poneva ipso facto su un piano distinto dagli altri personaggi. Ammiratissimi anche Olga Pitarch nella difficile parte di Minerva (brava anche scenicamente, agile e piena di grazia, capace di trasformarsi da pastorello a dea con un semplice mutamento di postura), il Telemanco giovanile e sensibile di Cyril Auvity, l'Iro di Robert Burt, parassita panciuto di straordinaria vis comica (nella sua scena all'inizio del terzo atto è anche sceso nella fossa ad abbracciare William Christie), e i Proci Christophe Laporte, Andreas Gisler, Bertrand Bontoux, incantevoli nei loro terzetti. Tutto su una trama strumentale che appariva come un turbinio di colori, e che Christie dipanava sottolineandone la grande vitalità, le continue modulazioni stilistiche (dal recitativo all'arioso lirico, dalla elaborata polifonia alle canzonette), le invenzioni musicali che fanno di quest'opera un capolavoro di modernità.
Regia: Adrian Noble
Orchestra: Les Arts Florissants
Direttore: William Christie
Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche
classica
A Roma, prima con i complessi di Santa Cecilia, poi con Vokalensemble Kölner Dom e Concerto Köln
classica
Federico Maria Sardelli e il sopranista Bruno de Sá per un programma molto ben disegnato, fra Sturm und Drang, galanterie e delizie canore, con Mozart, da giovanissimo a autore maturo, come filo conduttore