Nel panorama operistico italiano e anche europeo del 1898, l'Iris era nuova sotto molti aspetti, talmente nuova che spesso non è stata e non è ancora capita e viene considerata una Cavalleria annacquata, finita - chissà perché? - in Giappone. Recenti interpretazioni l'avevano riportata nella giusta luce, invece quest'edizione livornese sembra poco convinta e un po' incerta sulla strada da prendere.
Nel 1898 l'Iris apparve come qualcosa di completamente nuovo nel panorama lirico italiano e anche europeo. La novità più appariscente era l'ambientazione nell'estremo oriente: il Giappone significava distanza, era il mondo irreale del sogno e del simbolo, come rivelano alcune lunghissime didascalie del libretto di Illica, che evocano sensazioni e suggestioni irrealizzabili su un palcoscenico. Bisognerebbe inventare uno spettacolo che traduca su un piano diverso ciò a cui Illica e Mascagni miravano, un po' confusamente. La messa in scena di Tiezzi/Bisleri/Buzzi sceglie un elegante spazio bianco e spoglio, quasi zen: eppure un certo sovraccarico di bric à brac tra decadentistismo, art nouveau e esotismo è parte di quest'opera, che viceversa potrebbe fare a meno degli onnipresenti servi di scena neri presi dal teatro No, dei disegni manga nel sogno della piovra, per non parlare della lap dance. Questa cornice potrebbe comunque accogliere qualcosa di più d'una recitazione che si limita a narrare la vicenda e descrivere i movimenti in modo molto puntuale e quasi realistico. Ma nel terzo atto lo spettacolo prende decisamente il volo: allora anche l'opera, che prima aveva lasciato un po' perplessi, convince pienamente.
Lukas Karytinos sembra leggere solo i primi righi della partitura e si ferma così alla melodia - cui cerca di dare turgore e passionalità, come se Iris fosse una Cavalleria un po' annacquata - ma non s'accorge degli effetti timbrici nuovi e perfino stravaganti e delle armonie insolite e originali che Mascagni cerca in quest'opera. Alterna ma complessivamente positiva la prova di Raffaella Angeletti. Discreti Tito Beltran e Massimiliano Gagliardo, ma un po' estranei ai panni di Osaka e Kyoto, mentre Marco Spotti cerca la potenza a scapito del controllo vocale.
Interpreti: M. Spotti / M. Signorini, R. Angeletti / A. Cifrone, T. Beltran / P. S. Kyu, M. Gagliardo / M. Valleggi, F. Bertoli / S. Cristofanelli, M. La Guardia / M. Maddaloni
Regia: Federico Tiezzi
Scene: Pier Paolo Bisleri
Costumi: Giovanna Buzzi
Coreografo: Virgilio Sieni
Orchestra: Orchestra della Fondazione del Teatro della Città di Livorno "C. Goldoni"
Direttore: Lukas Karytinos
Coro: Coro della Fondazione del Teatro della Città di Livorno "C. Goldoni"
Maestro Coro: Marco Bargagna
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