Il folgorante battesimo straussiano di Viotti
Ad Amsterdam importante prova per il direttore musicale Lorenzo Viotti al debutto nel Rosenkavalier, che torna nell’allestimento di Jan Philippe Gloger con un cast del tutto rinnovato
Se è vero che dirigere Der Rosenkavalier era un desiderio covato da lungo tempo, come si dice ad Amsterdam, c’è da sperare che Lorenzo Viotti abbia molti altri desideri come questo. È davvero notevole l’esordio del giovane direttore musicale dell’Opera Nazionale Olandese nel mondo musicale straussiano e per di più affrontato con il titolo più significativo e complesso del duo Strauss-Hoffmanstahl. Come Richard Strauss, lavora sui tempi lunghi: gioca prudente nel primo atto, nel quale tiene a freno l’orchestra ottenendo l’intimità di un suono quasi cameristico subito dopo un breve preludio tempestoso, ma la sua è solo sapienza teatrale, che si dispiega lentamente lungo l’arco delle quattro ore e mezza scarse (intervalli compresi) della rappresentazione. Poi via via il suono si fa più denso e avvolgente e culmina nel toccante terzetto finale, che chiude l’arco drammaturgico di una lettura sapientemente musicale. Sotto una direzione così attenta al dettaglio, la Netherlands Philharmonic Orchestra ancora una volta trova una forma smagliante e una versatilità, che esalta il ricco spettro di suoni e umori della partitura straussiana, dalla caustica ironia allo struggente sentimentalismo.
A questa prova notevole, concorrono in maniera essenziale anche gli interpreti vocali, scelti tutti con mano felice fino ai ruoli minori. Ottimo il terzetto dei protagonisti Maria Bengtsson, un’elegante Marescialla tutta risolta nel segno di una introversa espressività e ben cesellata sul piano vocale anche se talora poco sonora, Angela Brower, un Octavian particolarmente pudico e delicato, e Nina Minasyan, una Sophie poco ingenua e vocalmente scintillante. Fra gli altri, Christof Fischesser è un barone Ochs auf Lerchenau pertinentemente sopra le righe e vocalmente ben risolto, la coppia Valzacchi e Annina di Marcel Reijans e Eva Kroon funzionano bene soprattutto sul piano scenico anche se la prestazione vocale è piuttosto approssimativa, come anche il poco incisivo Faninal di Martin Gantner. Quanto ai ruoli minori, va citato almeno Angel Romero, tenore italiano in frack, generoso tanto nella voce quanto nel fisico pavarottesco. A tutti loro si aggiungono le prove puntuali del coro del teatro e delle voci bianche del Nieuw Amsterdams Kinderkoor.
Se la componente musicale è del tutto rinnovata, non è così per l’allestimento che è quello firmato da Jan Philippe Gloger nel 2015 per De Nationale Opera, la cui quasi sessantennale attività è iniziata proprio con Der Rosenkavalier. Le scene di Ben Baur propongono tre ambienti molto diversi: per il primo atto un salone tutto boiserie e vetrate, bagnate da una malinconica pioggia durante il monologo della Marescialla, per il secondo un enorme gazebo provvisorio decorato con ostentato gusto rococò e profluvio di lacché e servitori imparruccati, e per il terzo una parete di porte di uno squallido albergo a ore illuminato al neon (e pazienza se un po’ ne risente la poesia del finale!). Di taglio moderno, tranne a casa Faninal, sono invece i costumi di Karin Jud. Quanto alla regia, più che di una ripresa, si tratta di un riallestimento ritagliato da Gloger sui nuovi interpreti, che trasmette intatta la freschezza di ispirazione sfrondando la narrazione scenica di ogni traccia di leziosità settecentesca (la rosa d’argento e diamanti comunque non manca) e lavorando in profondità sul ritratto dei personaggi e della dimensione sociale. La narrazione scorre senza intoppi e la commedia si gode tutta, anche nelle spiritose miniature aggiunte dal regista, come il tormentone del venditore di rose che, maltrattato da tutti, è colui che, alla fine, riceverà la rosa d’argento dalla coppia di innamorati e, liberatosi dei fiori che nessuno vuole, parte per iniziare, forse, una nuova vita.
Sala al completo, pubblico attento ed emotivamente partecipe, con applausi e ovazioni per tutti alla fine.
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