Il festival di Città di Castello ricorda i cinquecento anni dalla morte di Signorelli e del Perugino
L’Ensemble Micrologus ha eseguito musiche del periodo in cui vissero i due illustri pittori. Poi la finale del Concorso “Burri” per gruppi di musica da camera
Il Festival delle Nazioni ha dedicato le sue cinquantacinque precedenti edizioni alle nazioni che hanno avuto un particolare rilievo nella storia della musica colta occidentale. Poiché lo spirito del festival è far conoscere meglio in Italia la musica delle altre nazioni, l’Italia finora mancava all’appello, ma quest’anno sarà proprio l’Italia l’ospite dell’edizione numero cinquantantasei. Però il focus non è sui grandi compositori italiani, Palestrina, Monteverdi Scarlatti, Vivaldi, Rossini, Verdi e via seguitando, che si presume siano ben noti al nostro pubblico. Si sono invece individuati due momenti della musica italiana che sono rimasti nell’ombra, ovvero da una parte il periodo più antico, che precede la grande fioritura rinascimentale, e dall’altra il periodo relativamente recente corrispondente al ventennio fascista. Non si tratta ovviamente di revocare l’irrevocabile condanna del fascismo, ma di conoscere quei musicisti che, per convinzione o per conformismo, hanno avuto un ruolo di fiancheggiatori del fascismo, talvolta spingendosi ad esaltare le sue imprese coloniali, di cui è ben difficile essere oggi orgogliosi.
Il festival si è inaugurato però con un concerto dedicato ai primi passi della musica italiana, che ha riunito un pubblico non solo inaspettatamente folto ma anche molto attento nella grande chiesa di San Domenico. Abbiamo detto primi passi ma non primissimi, perché nel medio evo si erano sviluppate in Italia altre espressioni musicali, come il cosiddetto canto gregoriano, le laude e anche le musiche profane, tramandate quasi sempre oralmente e quindi nella quasi totalità perdute per sempre. Il vero inizio di una scuola musicale specificamente italiana ampiamente documentata si ha tra la metà del Trecento e l’inizio del Quattrocento, con la fioritura delle prime forme di musica polifonica profana. Il festival ha rivolto la sua attenzione alla musica del periodo immediatamente successivo - quello a cavallo tra quindicesimo e sedicesimo secolo - per celebrare due grandi pittori vissuti in quegli anni e scomparsi entrambi esattamente cinquecento anni fa, Luca Signorelli e Pietro Perugino, che realizzarono numerose loro opere proprio a Città di Castello e nei suoi dintorni.
Si è dunque chiamato l’Ensemble Micrologus, il primo e più noto gruppo italiano specializzato nella musica italiana di quel periodo, che ha presentato un programma tanto dotto quanto di gradevole ascolto, basato sulla musica profana tramandataci da rari e preziosi codici manoscritti ma anche dalle primissime stampe musicali. In tutto ventisei brevi brani, che offrivano un vivido panorama della musica che si poteva ascoltare in Italia a quel tempo.
Autori totalmente anonimi si alternavano ad altri che cominciavano appena ad emergere dall’anonimato e ad altri ancora di cui si hanno notizie più circostanziate, come Bartolomeo Tromboncino. Scrivevano principalmente vivaci danze e semplici canti su testi amorosi o scherzosi, i cui testi spesso celano doppi sensi nient’affatto innocenti: sicuramente queste musiche affondavano le loro radici nella musica popolare ma erano passate attraverso un processo di decantazione per entrare nelle corti italiane dell’epoca.
Altri brani erano invece firmati da Heinrich Isaac, Alexander Agricola e Loyset Compère, cioè da quei musicisti transalpini - più precisamente franco-fiamminghi - il cui stile elevato, complesso, raffinato era molto apprezzato dalle corti (e anche dalle cappelle ecclesiastiche) italiane, che se li contendevano. In uno dei suoi interventi in cui ha offerto agli ascoltatori indicazioni di ascolto talmente preziose che le si sarebbe desiderate meno rapide e sporadiche, Patrizia Bovi - voce e strumentista dell’Ensemble Micrologus – ha suggerito che la la tecnica del canone, ampiamente usata dai compositori franco-fiamminghi dell’epoca ed ispirata a principi matematicI, fosse in un qualche modo l’equivalente della tecnica geometrico-matematica della prospettiva, affermatasi in quegli stessi anni nella pittura rinascimentale italiana.
È anche interessante che uno dei brani di compositori franco-fiamminghi ascoltati in quest’occasione, cioè Helas que pourra devenir di Firminus Caron, fosse l’occasione - è stata ancora la Bovi a ricordarlo - di una delle prime accese polemiche teoriche a proposito della liceità o meno di un determinato intervallo, che fu innescata dal teorico Johannes Tinctoris, anch’egli un franco-fiammingo vissuto a lungo in Italia, precisamente a Napoli.
L’ottimo Ensemble Micrologus, pur partendo da un approccio musicologico, non si è fermato alla mera filologia, che avrebbe fatto sembrare aride e mummificate queste musiche, ma al contrario le ha presentate con la varietà, la vivacità e la gradevolezza che dovevano avere al loro tempo. E il pubblico del festival ha dimostrato di apprezzare vivamente questa rara occasione di scoprire il mondo musicale ancora semisconosciuto di cinquecento e passa anni fa, nient’affatto coperto dalla polvere del tempo ma ancora animato, vitale e perfino esuberante.
Trio Sheliak (Foto Tiziano Minciotti)
Il giorno successivo si è svolto il concerto finale del Concorso “Alberto Burri” per gruppi giovanili di musica da camera, che è alla sua sesta edizione ed ha già acquistato un notevole prestigio, grazie anche al fatto che due dei suoi precedenti vincitori, il Caravaggio Piano Quartet e il Quartetto Werther, hanno poi vinto il Premio “Farulli”, assegnato ogni anno al miglior gruppo giovanile di musica da camera dalla critica musica italiana nell’ambito del Premio “Abbiati”. Dei sedici gruppi - di livello mediamente molto alto - presentatisi alla fase eliminatoria sono stati ammessi alla finale il Trio con pianoforte Sheliak, il Trio d’archi David e il duo clarinetto-pianoforte Comé. È risultato vincitore il Trio Sheliak, che ha suonato Haydn e Brahms nella prova eliminatoria e l’arduo Trio in la minore di Ravel nella prova finale, convincendo la giuria con l’eccellenza delle sue esecuzioni e anche con la sua versatilità.
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