Il doppio tradimento di Thérèse 

Dopo il debutto salisburghese arriva a Amburgo l’opera da camera Thérèse di Philippe Maintz dal celebre romanzo di Émile Zola 

Thérèse 
Thérèse 
Recensione
classica
Amburgo, Staatsoper Hamburg (Elbphilharmonie – Kleiner Saal)
Thérèse 
18 Maggio 2019 - 22 Maggio 2019

Sarà anche vero che tutte le famiglie felici sono simili le une alle altre e che ogni famiglia infelice è infelice a modo suo. Il fatto è che anche le infelicità, in fondo, si somigliano tutte, specie se alla base c’è una storia di corna. Certo Thérese Raquin è anche altro, ma se quell’altro lo si elimina, allora non rimane che il classico triangolo marito, moglie e amante (di lei) con le varianti frequenti dell’omicidio del terzo incomodo (il marito) e quella appena meno frequente del rimorso, che porta alla fatale distruzione dei colpevoli. Dell’ “altro” del romanzo di Émile Zola c’è poco, se non qualche sommario rimando, nella riduzione librettistica firmata da Otto Katzameier per la nuova opera da camera di Philippe Maintz. Andata in scena un mese fa al Festival di Pasqua di Salisburgo, Thérèse di Maintz è stata ripresa per qualche recita nella Sala piccola dell’Elbphilharmonie di Amburgo nell’ambito dell’Internationales Musikfest organizzato dall’Opera di Stato di Amburgo, co-committente del lavoro. Anche per la sua seconda incursione nel teatro musicale la scelta del compositore è caduta su un classico della letteratura francese, dopo Maldoror dal visionario romanzo di Lucien Ducasse tenuto a battesimo alla Biennale di Monaco nel 2010. 

Già nella scelta di privare la protagonista di ogni possibile attributo, cognome compreso, si intuisce l’intenzione di dare un volare assoluto alla protagonista, donna senza particolari qualità e soprattutto prodotto e vittima di un preciso contesto sociale nel romanzo di Émile Zola. Un contesto che la costringe dapprima a diventare moglie di un marito inetto, Camille, che non ama, e quindi a farsi uxoricida per risolvere il destabilizzante desiderio per l’artista Laurent. Benché passi inizialmente inosservato, il gesto estremo dell’annegamento del marito da parte dei due amanti criminali, fa esplodere nuove tensioni “coniugali” che portano a rivelare l’omicidio alla madre di Camille, oramai ridotta a uno stato larvale dalla malattia. Fatale quindi il secondo gesto estremo di annullamento reciproco di Thérèse e Laurent. Tolto quel contesto, tuttavia, non rimane che la cruda verità di un fatto di cronaca nera. 

Scritta per un piccolo complesso da camera con la marcante presenza della fisarmonica, la scrittura di Maintz è minuziosa e analitica, lontana dall’effetto e soprattutto attenta a riflettere inquietudini e tensioni nascoste. Manca però di quel vigore espressivo, che la distacchi e la renda complementare alla materia drammatica. Parte del problema è evidentemente nella materia del libretto che, come detto, riduce la ricchezza della scrittura di Zola a puro scheletro narrativo senza trovare una propria autonomia drammaturgica. Se si vuole, troppo vicino a Zola per non tradirne la natura. Ciò detto, va riconosciuta una certa abilità nel costruire una certa tensione nella prima parte, anche attraverso inserti acquatici in flash forward che anticipano l’omicidio di Camille. La seconda parte, invece, è nettamente più debole e non si allontana dai cliché abituali della crisi di coppia, fra l’altro con uso esagerato di epiteti offensivi di Laurent all’indirizzo di Thérèse, in vago sentore di misogino compiacimento. 

Improntata a un rigore quasi analitico è la direzione attentissima, soprattutto alla varietà timbrica, di Nicolas André. Ben assortito il quartetto di interpreti (inspiegabilmente microfonati nonostante le dimensioni contenute della sala e dell’ensemble strumentale), dominati dall’ottima Marisol Montalvo piuttosto abile nel rendere credibile la disperazione della protagonista e la sua fame di vita. Più esteriore invece la prova di Otto Katzameier, che gioca la carta dell’istrione per rendere verosimile il personaggio del debosciato seduttore Laurent. Il controtenore Tim Severloh presta la voce a un particolarmente indifferente e asessuato Camille, refrattario a qualsiasi moto di compassione, mentre Renate Behle disegna il ruolo della terribile madre con tratti di calda umanità.

A suo modo vicine al naturalismo della fonte sono le scelte estetiche di Marie-Thérèse Jossen per l’ambiente unico della piccola scena, fatta di cinque tavoli/passerelle con decorative testate lignee per marcare i diversi ambienti e una fila di dipinti con paesaggi marini appesi alla nera parete di fondo che serve anche per le videoproiezioni acquatiche, ma soprattutto gli austeri costumi neri di foggia tardo ottocentesca. Vicina a un certo naturalismo anche la regia di Georges Delnon, dal segno narrativamente lineare e misurato nella prima parte e appena più gridato nella seconda. 

Pubblico numeroso. Applausi. 

 

 

 

 

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