Il disagio (fin troppo) raffinato del Dioniso di Rusconi
A Trento applausi per la prima assoluta di Dionysos Rising di Roberto David Rusconi per la stagione OPER.A 20.21 della Fondazione Haydn
Come una sorta di viaggio nelle disfunzioni contemporanee dell’animo umano, Dionysos Rising ha proposto l’interpretazione del mito narrato nelle Dionisiache di Nonno di Panopoli attraverso la lettura che Roberto David Rusconi, compositore veneziano da tempo residente in Gran Bretagna, ha realizzato – coadiuvato da Michael Scheidl, coautore del libretto e curatore della regia di questo spettacolo – per il cartellone di OPER.A 20.21, stagione organizzata dalla Fondazione Haydn di Bolzano e Trento con la direzione artistica di Matthias Lošek.
Una prima rappresentazione assoluta – coproduzione netzzeit di Vienna e Fondazione Haydn – che ha restituito alcuni frammenti del vasto poema epico attraverso il tratteggio di quattro personaggi principali interpretati da altrettanti cantanti: Zachary Wilson (Dioniso, basso), Ray Chenez (Ampelos, controtenore), Da-yung Cho (Telete, soprano) e Anna Quadrátová (Semele, soprano). Diviso idealmente in due parti distinte per ambientazione e caratteri drammaturgici, connesse l’una all’altra senza soluzione di continuità, lo svolgimento dell’opera non ha proposto una vera e propria narrazione. Ci è parso piuttosto di assistere a un susseguirsi di eventi atti a evocare le vicende e soprattutto i caratteri dei protagonisti sulla scena, delineandone i profili sullo sfondo freddo e desolante di un ospedale psichiatrico.
Dioniso ci appare quindi un paziente con disturbi schizoidi e allucinatori, un padre-figlio costantemente dissociato; Semele incarna una madre abusata dal marito, che ha perso il figlio, una paziente con disturbi dissociativi, che è anche sotto sedativi per il dolore fisico delle ustioni (dovute nel mito alla potenza di Zeus, come ricorda anche Ovidio nelle sue Metamorfosi: «Il corpo mortale di lei non sopporta il bagliore e il nuziale dono la brucia»); Ampelo è un adolescente narcisista e destinato a morire vittima della propria megalomania; Telete appare infine una paziente con disturbi della personalità. L’intreccio di queste quattro anime in pena è stato contrappuntato dalla presenza di altri personaggi, facenti anche la funzione del personale di servizio dell’ospedale, che agiscono sulla scena e inoltre intervengono attraverso voci registrate: Eon (il tempo che scorre), Zeus (il potente dominatore di Dei e uomini), Atropo (che nella mitologia era la più anziana delle tre Moire) e Ate (figlia di Zeus, che rappresenta la dea dell’invidia).
Una compagine di personaggi alle prese con le loro vicissitudini, tra i prototipi del mito e l’immanenza del male di vivere odierno, immersa nel variegato amalgama musicale pensato da Rusconi, dove parti suonate dal vivo dall’ensemble dell’Orchestra Haydn – diretto con attenta efficacia da Timothy Redmond – si intrecciano a frammenti registrati delle voci – Johanna Porcheddu (Atropos), Noemi Grasso (Ate), Sebastiano Kiniger (Zeus), Giovanni Battaglia (Eon) – e del coro diretto da Ingrun Fussenegger, il tutto completato con innesti di suoni d’ambiente ed effetti elettroacustici.
Una materia sonora distribuita attorno all’uditorio attraverso un avanzato sistema di diffusione surround (Roberto David Rusconi collabora da tempo con L-Acoustics, ditta londinese leader nel campo dei sistemi di amplificazione e diffusione del suono), che aveva lo scopo di potenziare il coinvolgimento dell’ascoltatore (sound design di Florian Bach). Il risultato che abbiamo seguito in occasione della première ha offerto una materia sonora stratificata, elegante soprattutto nelle sottigliezze timbriche delle parti dedicate agli strumenti acustici e nella densa asciuttezza dei tracciati vocali ben restituiti da tutti e quattro i solisti impegnati. Nel complesso, però, la resa drammaturgico-musicale è parsa fin troppo equilibrata, non adeguatamente provvista di quella potenza espressiva – se vogliamo anche disturbante – che ci si poteva aspettare dall’immersione della vicenda dionisiaca (Dioniso rimane pur sempre il simbolo dell'ebbrezza, della sensualità e del vitalismo più sfrenato…) in un contesto di disagio così estremo.
Un dato, questo, che è stato evocato anche dalla regia di Scheidl (scene e costumi di Nora Scheidl, lighting design di Michael Grundner), alquanto didascalica nel rappresentare i quattro protagonisti alle prese con sovrabbondanti dosi di vari stupefacenti, passando poi alla più efficace caratterizzazione della danza rituale della seconda parte della messa in scena (coreografia Claire Lefèvre, danzatori: Luan De Lima, Britt Kamper-Nielsen, Evandro Pedroni, Juliette Rahon).
Alla fine bel successo tributato allo spettacolo dal folto pubblico, tra le cui fila abbiamo scorto tanti giovani, presenti anche alla conferenza che ha preceduto la rappresentazione proponendo un interessante dialogo tra lo stesso Rusconi e il critico Alessandro Cammarano. Anche in questa occasione la sala era affollata, gran bel segnale trattandosi di una prima assoluta di musica contemporanea.
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