Il Caino innocente di Castellucci
A Parigi una versione scenica dell’oratorio Il primo omicidio di Alessandro Scarlatti
All’Opéra di Parigi ha debuttato con il Moses und Aron di Schönberg sono già passate tre stagioni, un lavoro arduo che affonda le radici nell’Antico Testamento. Per il suo ritorno alla scena parigina tre stagioni dopo, Romeo Castellucci ha scelto un lavoro non meno arduo e originato anch’esso da un episodio del Libro della Genesi: Il primo omicidio ossia il Caino di Alessandro Scarlatti, oratorio o piuttosto “trattenimento sacro” insolitamente composto per Venezia nel 1707 sui versi di Antonio Ottoboni. Dei precedenti scenici di questo lavoro si sa abbastanza poco e certo la sua drammaturgia centrata sull’omicidio di Abele per mano del fratello maggiore Caino, il primo della storia dell’umanità secondo il dettato biblico, è più spinta sul piano della meditazione teologica che su quello della pura azione. Come sempre, lo sguardo di Castellucci va al di là (o al di sotto) della rappresentazione immediata del soggetto per concentrarsi piuttosto sulle suggestioni più profonde provocate dalla riflessione sull’oggetto da rappresentare.
Il suo Caino andato in scena all’Opéra Garnier, tuttavia, ha segni meno enigmatici di molti dei suoi spettacoli più recenti, quasi che il soggetto, il primo omicidio, fosse già di per sé uno stimolo sufficiente alla riflessione nello spettatore. Così come l’oratorio scarlattiano è nettamente diviso in due parti – l’introduzione con le riflessioni di Adamo ed Eva sul peccato originale seguite da quelle dei due figli su come placare l’ira divina (donde la rabbiosa frustrazione di Caino nel veder preferito il sacrificio animale di Abele alla sua offerta di frutti della terra), seguita dall’evento fratricida e quindi dalle conseguenze del severo giudizio divino – così Castellucci compone la sua rappresentazione di due parti fortemente contrastanti sul piano visivo. La sostanziale astrazione della prima è resa da movimenti ieratici dei personaggi davanti a un sipario translucido, che sfuma i contorni della poliedrica successione di immagini luminose geometriche come nei dipinti di Mark Rothko, che, secondo il regista, sono catalizzatori di un processo contemplativo indotto dalla loro indeterminatezza. La concretezza dell’atto omicida della seconda parte avviene invece in un paesaggio rurale molto definito – un campo erboso e un cielo stellatissimo come sfondo – in cui protagonisti, scesi nella buca, vengono sostituiti in scena da un doppio infantile, come si trattasse di un gioco innocente. Innocente infatti è Caino per Castellucci, “la vera preda catturata in una trappola vittimaria”, ma sembra esserlo anche per Scarlatti, che riserva al suo protagonista gli accenti musicali più compassionevoli come alla madre Eva, mentre più convenzionalmente estatico è il lessico musicale riservato ad Abele o al padre Adamo.
Per la prima volta all’Opéra di Parigi, René Jacobs torna all’oratorio di Scarlatti poco più di vent’anni dopo la sua registrazione in CD, l’unica tuttora disponibile. Allora c’era l’Akademie für Alte Musik di Berlino, a Parigi invece c’è la belga B’Rock Orchestra con il suo austero rigore interpretativo di marca filologica, che però alla strumentazione originale innesta fiati (flauti, oboi e trombone) a tutto beneficio di una maggiore ricchezza timbrica. Dei sei solisti vocali chi va oltre la diligente lettura del testo scarlattiano è soprattutto Birgitte Christensen, la più efficace nell’esprimere pathos alla sua vibrante Eva. Con modalità espressive più convenzionali e una certa monotonia di accenti si esprimono i due fratelli Caino e Abele, che hanno le voci rispettivamente di Kristina Hammarström e Olivia Vermeulen, e l’Adamo di Thomas Walker dal timbro tenorile non gradevolissimo. Marcatamente fiacca invece la prestazione del controtenore Benno Schachtner, la voce di Dio priva di carattere e vigore. Completa il cast il Lucifero marcante di Robert Gleadow.
Grande interesse a Parigi per questo inedito barocco, sala gremita e risposta calorosa.
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