Idomeneo nostro contemporaneo
Al Teatro Real di Madrid Mozart con la regia di Carsen e la direzione di Bolton
Un nuovo allestimento dell’Idomeneo di Mozart, con la regia di Robert Carsen, ha appena debuttato al Teatro Real di Madrid, in un produzione realizzata insieme ai teatri di Toronto, Roma e Copenhagen. Ha fatto un po’ discutere sui giornali la scelta del regista di ambientare la vicenda su un’isola greca attuale, con i troiani vestiti da profughi di guerra e i cretesi in tenuta militare a guardia del campo di accoglienza. L’allusione a scottanti fatti d’attualità, rimane però tale, e cioè solo un’allusione, perché l’intero sviluppo della messa in scena si concentra poi su questioni molto più sostanziali e universali, quali i rapporti psicologici tra i personaggi (il conflitto Idomeneo-Idamante, l’idillio amoroso di quest’ultimo con Ilia, l’alterità della gelosa Elettra), o sulle componenti mitiche del dramma, tutte risolte scenicamente in modo convincente: il destino che incombe fatale, raffigurato dall’onnipresente mare, ora calmo ora agitato; la colpa di Idomeneo che porta l’isola alla rovina è in realtà legata al suo modo bellicoso di amministrare il potere e alla sua incapacità di farsi da parte e lasciare la successione al figlio; il mostro marino che causa morte e distruzione è la guerra, rappresentata in scena da immagini di città bombardate. Il lieto fine è dunque corale, e vede la rinuncia di Idomeneo, la salita al trono di Idamante, l’uscita di scena per suicidio dell’indemoniata Elettra, le nozze dei due predestinati amanti e la pace, con i combattenti che si spogliano di armi e divise militari.
Il risultato finale è pienamente riuscito e tale da conferire interesse drammatico a un’opera che deborda sì di invenzione musicale, ma il cui libretto è notoriamente difettoso. Oltre al lavoro sulla recitazione e alle numerose idee registiche che pullulano, pur nella sobrietà della scena, ha contribuito anche la scelta di tagliare le due arie di Arbace e di affidare a un tenore la parte di Idamante, originariamente scritta per un castrato, nel tentativo di dare più realismo al rapporto conflittuale padre-figlio. Quest’ultimo accorgimento ha funzionato in parte nel primo cast, dove la voce più scura e prestante di Eric Cutler ha contrastato con quella un po’ acerba di David Portillo, ma non nel secondo, dove la differenza timbrica tra i due tenori è parsa minima, e anzi quasi opposta. Resta comunque evidente che le parti più riuscite sono quelle femminili, più affini alla sensibilità mozartiana, e che in generale il tono solenne, in cui il giovane Mozart ha voluto cimentarsi in quest’opera, sulle orme di Gluck, è quello che più ne appesantisce l’ascolto.
Eccellente la resa musicale sotto la direzione di Ivor Bolton, con un plauso speciale ai legni dell’orchestra e al coro, cui questa partitura regala non pochi momenti per sfoggiare la loro bravura. Ben equilibrati, nel complesso, i due cast di cantanti, con una bravissima Eleonora Buratto nei panni di Elettra una spanna sopra tutti.
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