I miracoli di Heliane
A Berlino un trionfo per la sfortunata opera Das Wunder der Heliane di Korngold, riproposta alla Deutsche Oper
Chissà se il grande interesse per la riproposta di Das Wunder der Heliane (Il miracolo di Heliane), con sala esaurita e molti a cercare biglietti all’ingresso, e soprattutto il trionfo decretato dal pubblico alla fine della rappresentazione berlinese, faranno il miracolo di far tornare stabilmente sulle scene la terza e sfortunata opera di un Korngold trentenne, prima cocente delusione di una carriera precoce fin là segnata da enormi successi (e quello di Die tote Stadt continua fino a oggi).
Se la caratteristica rigogliosa vena melodica e la scintillante orchestrazione ci sono tutte anche in questo lavoro, i problemi sembrano venire tutti dal soggetto a dir poco convoluto e da un libretto che nelle sue impossibili acrobazie sfiora talvolta il ridicolo. Ci è voluta la mano di un regista di razza come Christof Loy per rendere plausibile e perfino appassionante l’ingarbugliata vicenda di un uomo che si fa tiranno sanguinario per il rifiuto della moglie Heliane a darsi a lui, che sfoga il suo odio verso quello straniero liberatore che sembra aver conquistato per sé quello che Heliane non vuole concedergli, e che impone ai giudici di legittimar il martirio la supposta fedifraga che solo il miracolo della resurrezione del presunto amante suicida per negato amore invocato dalla folla potrà salvare.
Tanto è esuberante la fabbrica di Korngold e del librettista Hans Müller-Einigen, tanto austera è la chiave scelta da Loy per la sua riuscita lettura scenica: una stanza unica con alte boiserie e una grande porta frontale incorniciata di marmo nero, un grande tavolo nel mezzo e tre grandi finestre da cui penetra una luce che disegna la fine di un giorno, costumi severi con dominante nera per tutti tranne che per le mises di Heliane, eleganti come quelle di una stella della Hollywood degli anni d’oro. Tutto il resto è un formidabile lavoro sugli interpreti e una sapiente coreografia che regge la tensione spezzata solo da sapienti tagli nel flusso narrativo (con inattese chiusure di sipario) che destabilizzano il flusso della narrazione introducendo un’inattesa dimensione da soggettiva “psichica” al racconto. Una magistrale lezione di teatro, che guarda moltissimo al cinema nella sapiente costruzione delle scene ma anche nell’immagine del set disegnato da Johannes Leiacker, illuminato in modo formidabile dalle luci di Olaf Winter, e nella raffinatezza dei costumi di Barbara Drosihn.
Magistrale anche il lavoro sugli interpreti, convincenti tanto sul piano scenico quanto sui mezzi vocali, che, come esige Korngold, devono avere doti non comuni. Doti che sicuramente possiede Sara Jakubiak, che dà anima e corpo (letteralmente) al disegno di una Heliane santa e martire borghese e strappa l’applauso a scena aperta con l’appassionato “Ich ging zu ihm” bruciante di fuoco pucciniano. Bravissimi anche Brian Jagde, un enigmatico straniero animato da rigogliosi accenti lirici, e soprattutto Josef Wagner, il tiranno tratteggiato con le sotterranee inquietudini e il gelido risentimento del marito tradito. Sembra uscito dalla penna di Kafka il giudice cieco, splendidamente incarnato dal gelido Burkhard Ulrich, laddove Okka von der Damerau infonde alla messaggera tratti di sofferta umanità. Completano la lunga locandina Andrew Dickinson, Dean Murphy, Thomas Florio, Clemens Bieber, Philipp Jekal, Stephen Bronk come animosi giudici, Gideon Poppe un giovane particolarmente tormentato, e Sandra Hamaoui e Meechot Marrero i cherubini cui è affidato l’evangelico messaggio d’amore.
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